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Sirio 09 - 15 dicembre 2024
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Economia

Lotta aperta ai “burosauri”

Il governo Renzi ha annunciato di trasformare la macchina che muove lo Stato. Ma la burocrazia in Italia non è una sola. Ha mille facce

di Nicola SALVAGNIN

5 Maggio 2014

E ora si vuole cambiare la burocrazia italiana, quel babau che tutti noi conosciamo e che molti di noi hanno sperimentato sulla propria pelle. Il governo Renzi ha annunciato grandi cose per trasformare la macchina che muove lo Stato, agendo soprattutto sui conducenti. È una riforma necessaria per una burocrazia che sta in mezzo al guado, ferma tra l’Ottocento della penna e calamaio, e la modernità del digitale. Più penna e calamaio che computer, ancor oggi. Una riforma che invocano tutti: sia i cittadini-utenti (quelli italiani non sono esattamente entusiasti della loro pubblica amministrazione), sia i lavoratori pubblici, mal utilizzati, mal pagati, mal formati.

A Renzi e ministri ci sentiamo di dare qualche avviso ai naviganti, uno positivo, un altro un po’ meno. La notizia buona è che non tutto in Italia è irriformabile, non tutto il pubblico è irredimibile. Il compianto Giulio Andreotti sosteneva, alcuni anni fa, che solo un insano di mente poteva pensare di sistemare i conti delle Ferrovie dello Stato. Ebbene, se non sono risanate, comunque stanno molto meglio di un tempo. Tanto per dire.

Quindi forza e coraggio, e soprattutto state lontani da quella brutta usanza di sostenere di migliorare ciò che poi scientemente si peggiora: alla politica ha sempre fatto un maledetto comodo inventarsi enti e authority dove parcheggiare questo o quello, dove assumere, dove far spendere…

La brutta notizia (che certo non suona nuova alle orecchie dei nostri governanti) è che di burocrazia non ce n’è una sola, ma migliaia. Dietro lo Stato e i suoi apparati, ci sono venti Regioni, due Province a statuto speciale, più di cento Province che verranno abolite ma solo sulla carta, più di 8 mila Comuni. E poi migliaia di enti municipalizzati, di aziende speciali, di Asl, di tutto quanto insomma è stato messo in piedi nel corso della storia dell’Italia repubblicana. Ognuno con il proprio apparato, le proprie logiche, il proprio potere di veto, la propria capacità di ingarbugliare e spendere.

Non è un babau unico, ma un esercito spesso non visibile, spesso non toccabile (ad ogni Finanziaria, ogni Governo giura e spergiura di “sopprimere gli enti inutili”: che sono o invulnerabili o dotati della capacità di risorgere).

Tocca disboscare, dunque. Quando si sarà tolta un po’ di ramaglia – e tolta pure alle Regioni la facoltà di fabbricarla senza limiti -, si potrà vedere un nuovo giardino, e sperare di farlo fiorire. Ma un ultimo consiglio ci sentiamo di dare ai nostri governanti, purtroppo certi che su questi toni la sordità sarà costante nel tempo. Il giardino può fiorire se adeguatamente concimato, reso fertile. E la vera spinta a fare meglio, di più, di nuovo la può dare solo la concorrenza generata dalla libertà di scelta.

Lo Stato ha il diritto e il dovere di insegnare, di guarire, di assistere, di proteggere, di costruirsi, di amministrare la ricchezza pubblica e altro ancora. Ma se lo fa quasi sempre senza alcuna possibilità di scelta, senza possibilità di confronto, senza stimolo per migliorare, allora temiamo che nessun nuovo regolamento, nessuna parola scritta su qualche carta legislativa cambierà un andazzo che un tal Luigi Einaudi deprecava un centinaio d’anni fa, vox clamantis in deserto. E se certo non suggeriamo la nascita di venti polizie, però qualcosina in più per scuole e sanità si potrebbe fare, o no?