Il 13 giugno i nove giudici della Corte Suprema Usa hanno emesso all’unanimità una sentenza nella quale affermano che i geni estratti dal corpo umano, cioè il cosiddetto Dna isolato, non può essere brevettato, mentre aprono alla brevettabilità del materiale genetico prodotto sinteticamente in laboratorio. Il pronunciamento ha detto stop all’esclusiva ventennale dell’azienda privata Myriad Genetics di Salt Lake City, specializzata nella diagnosi molecolare delle malattie, scopritrice dei geni noti come Brca 1 e 2, che ha sequenziato e dei quali detiene il brevetto. Il genetista Bruno Dallapiccola, direttore scientifico dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma, commento la sentenza.
Come ha accolto il pronunciamento della Corte suprema?
Si tratta di una scelta di assoluto buonsenso dal punto di vista scientifico, etico e giuridico. Il Dna non lo crea il ricercatore; questi va all’interno di una scatola il cui contenuto è creato da altri per cercare il gene responsabile di una specifica malattia. Sono stati i forti investimenti, soprattutto negli anni passati, da parte di alcune aziende private per andare a caccia di questi geni, a “giustificare” il principio che il forte investimento conferisca all’azienda il diritto a un rimborso, e quindi una specie di “tassa” da “riscuotere” ogni volta che un soggetto ha bisogno di usare il gene per finalità diagnostiche. La sentenza si riferisce ai geni Brca 1 e 2, predisponenti al tumore della mammella, negli ultimi giorni alla ribalta per la vicenda di Angelina Jolie. Ma oltre a questo caso specifico un significativo numero di geni dello stesso tipo è stato brevettato negli Usa e in altri Paesi – per fortuna non in Italia – imponendo ai ricercatori che vogliano analizzare un gene particolare il versamento di una sorta di royalty ai titolari dei brevetti. Lo ribadisco: il Dna non è brevettabile – lo hanno già affermato le Società europea e italiana di genetica umana. Non ha senso brevettare qualcosa che ha creato qualcun altro e che comunque ci è pervenuto attraverso l’evoluzione.
I giudici ammettono però la possibilità di concessione di brevetti a materiale genetico prodotto sinteticamente…
Certo. Quello che può semmai essere brevettabile è il Dna artificiale costruito in laboratorio, oppure lo sviluppo originale di biotecnologie innovative per lo studio del Dna stesso, ed eventuali terapie. Il pronunciamento della Corte Usa opera una necessaria e chiara distinzione tra questi due aspetti e una sorta di “armonizzazione” con la giurisprudenza europea.
Quale sarà la ricaduta pratica di questa sentenza?
L’argomento a sostegno della brevettabilità, portato avanti per molto tempo, della necessità di un ritorno economico a fronte dei forti investimenti delle aziende per la ricerca, non ha più ragion d’essere perché i costi sono stati drammaticamente abbattuti. Oggi con circa mille euro ci si può sottoporre a un’analisi genomica e avere i risultati in una settimana; nell’arco di tre anni questo sarà possibile magari con cento euro e un giorno di attesa. Dunque, anche dal punto di vista pratico, le possibilità diagnostiche ne trarranno certamente vantaggio perché nessuno sarà più costretto a ‘pagare una tassa’ a chi è arrivato per primo alla scoperta di un determinato gene.
Intravede in questo dibattito il rischio di una distorsione dell’idea di uomo e di una sorta di sua “mercificazione”?
La distorsione dell’idea dell’uomo non viene fuori da questo specifico problema ma da altre biotecnologie. Essa nasce soprattutto dall’attribuzione alla genetica di una sorta di onnipotenza – che di fatto la genetica non ha – nel guardare dentro di noi per identificare tutte le nostre magagne e sviluppare quella medicina predittiva così carica di attese – e soprattutto illusioni -, oggi non ancora possibile. Attese e illusioni di fronte alle quali, da genetista, ho l’obbligo di affermare con chiarezza che se una parte del nostro destino è inscritta nel nostro Dna, la maggior parte è conseguenza dei nostri stili di vita e dell’ambiente che modula e condiziona il nostro genoma.