Maria oggi ha 50 anni. Si è sposata a 24 con Luigi, dopo qualche mese di fidanzamento. Fin da subito aveva avuto comportamenti particolarmente aggressivi, che lei non «aveva voluto» vedere come rischio di violenza, anche perché lui immediatamente dopo si scusava e la corteggiava assiduamente. Anche nei primi mesi di matrimonio erano avvenuti episodi di violenza anche se sporadici, a cui erano seguiti momenti di tranquillità che facevano illudere Maria che lui finalmente fosse cambiato.
Maria aveva bisogno di quell’illusione, perché non poteva mettere in crisi l’amore che provava verso Luigi, con cui aveva costruito il progetto familiare. Alla nascita di Matteo, dopo circa un anno dal matrimonio, la situazione si era ulteriormente aggravata. Anche il bimbo era diventato il pretesto di liti che finivano sempre con calci e pugni. Non sapendo più come comportarsi per il timore di attivare la sua violenza, si adeguava a ogni suo comportamento. Ma si sentiva sempre più in trappola. Ormai era soggiogata dal marito, anche dal punto di vista psicologico. Le centellinava i soldi per la spesa per poi darle la responsabilità di non saper amministrare.
Maria non poteva contare sull’aiuto di nessuno, anche perché la sua famiglia era lontana e lei non aveva voluto coinvolgerli. Cresciuto Matteo, Luigi «aveva permesso» a Maria di andare a lavorare, proibendole però di avere rapporti anche solo con le colleghe e appropriandosi dei suoi soldi, per soddisfare i debiti che lui continuamente contraeva.
Nonostante il modello negativo del padre, Matteo era cresciuto abbastanza bene, grazie all’affetto e alla capacità della mamma, ed era diventato per la madre la motivazione ad andare avanti. È stato proprio il figlio, ormai adulto e in situazione di precoce autonomia (come studente lavoratore coabitava con due amici), a incoraggiare la mamma a chiedere aiuto.
Già nel primo colloquio Maria aveva scoperto «quel mondo» della rete dei servizi che avrebbero potuto accompagnarla nel suo percorso di uscita dalla violenza. Aveva accettato volentieri l’ingresso in comunità dove, nella fase iniziale, aveva trovato protezione, ma anche l’incoraggiamento a tirar fuori le proprie risorse, di cui lei stessa non era più consapevole a causa delle continue denigrazioni del marito.
Parallelamente alla denuncia e all’avvio dell’iter legale conclusasi con una separazione giudiziale molto faticosa, Maria si era impegnata per mettere le basi per la sua autonomia. Aveva frequentato un corso di formazione professionale per poi essere assunta da un albergo con mansioni di cameriera ai piani. Il suo percorso è durato più di un anno e mezzo. Ora Maria ha ricomposto la famiglia con il figlio, con il quale ha cercato un alloggio, grazie anche all’autonomia economica di entrambi. La signora finalmente non viene più cercata dal marito, anche grazie alla mediazione dell’avvocato di Luigi, che l’aveva invitato a non mettere in atto azioni che avrebbero peggiorato la sua posizione.