Il divieto di fecondazione eterologa è incostituzionale. Lo ha stabilito ieri la Consulta, dichiarando l’illegittimità della norma della legge 40 che vieta il ricorso a un donatore esterno di gameti (ovociti o spermatozoi) nei casi di infertilità assoluta. «La Corte costituzionale, nell’odierna Camera di Consiglio – si legge nel comunicato di tre righe diffuso ieri dall’ufficio stampa della Consulta – ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli articoli 4, comma 3, 9, commi 1 e 3, e 12, comma1, della Legge 19 febbraio 2004, n. 40, relativi al divieto di fecondazione eterologa medicalmente assistita».
I giudici costituzionali hanno accolto i ricorsi presentati dai tribunali di Milano, Firenze e Catania. Abbiamo parlato della pronuncia con Alberto Gambino, ordinario di diritto privato e direttore del Dipartimento di scienze umane dell’Università europea di Roma.
Come valuta questa sentenza?
Si tratta di una decisione gravissima con la quale gli interessi del nascituro vengono fatti retrocedere di fronte a un presunto diritto degli adulti alla genitorialità. Il divieto di fecondazione eterologa manteneva intatta una visione della famiglia secondo la quale il dato biologico coincideva con il dato sociale. Il ricondurre le tecniche di fecondazione artificiale nell’ambito dei soggetti che convivono quotidianamente con il figlio era un modo per lasciare inalterato il rapporto tra padre e madre naturale e padre e madre sociale. Due sole figure genitoriali. La caduta del divieto dell’eterologa apre invece ad un terzo soggetto: il donatore esterno, estraneo alla famiglia, ma che entra dal punto di vista biologico a farne parte.
Una pronuncia che quindi “scardina” la concezione della famiglia…
A risentirne sono in particolare gli articoli 29 e 30 della Carta costituzionale, il primo già vittima di un “attacco” con l’apertura della legge 40 anche a coppie non sposate, il secondo perché la sentenza ribalta la centralità dell’interesse del figlio sulla quale sembra prevalere il già citato presunto diritto alla genitorialità. Un presunto ‘diritto’, appunto. Occorrerà attendere la pubblicazione della sentenza, ma se la Consulta stabilisce l’incostituzionalità di una norma di divieto, si presume che quest’ultima “contraddica” un principio o un diritto sancito dalla nostra Carta. Quale, nel caso di specie? Dobbiamo ritenere che per i “giudici delle leggi” il desiderio di un figlio venga assurto, di fatto, a diritto?.
Quali altri aspetti della sentenza ritiene problematici?
La Corte non ha fatto cadere soltanto il divieto dell’eterologa, ma pure il divieto di disconoscimento della paternità da parte del coniuge o convivente della madre del bambino, insomma del “padre sociale”, e di conseguenza anche il divieto del donatore di avere relazioni parentali con il nato e di far valere nei suoi confronti alcun diritto. Proprio perché consapevole di una forzatura, quella di introdurre un elemento esterno, la Corte sembra aver ritenuto che questa forzatura non potesse spingersi fino al punto di fingere che non esista questo soggetto esterno. Esiste inoltre anche il diritto del figlio, ribadito di recente dalla stessa Corte, a risalire alle proprie origini biologiche, e quindi all’identità del donatore di gameti. In questo scenario l’attivazione di relazioni tra il donatore e il nato diviene una possibilità reale. Un ragionamento sconcertante, quello dei giudici, ma intrinsecamente logico: aprendo all’eterologa non si sarebbe potuto fare altrimenti.
Fin dall’inizio la legge 40 ha subito diversi attacchi e tentativi di progressivo smantellamento…
La questione è delicata, in particolare perché si tratta di una legge non solo approvata in Parlamento, ma pure confermata dal referendum del 2005. Dopo la sentenza di ieri ci si potrebbe chiedere quanto i giudici della Consulta siano effettivamente rappresentativi dello spirito della Costituzione e dello spirito del popolo. Verrebbe da dire che se ne sono allontanati…
Che cultura giuridica esprime la pronuncia della Corte?
Oggi occorre parlare di culture giuridiche al plurale. Negli ultimi vent’anni abbiamo assistito a metodi molto diversi di interpretazione della legge. Da un lato quello che si ispira a quanto affermato dalla legge e dai testi normativi; dall’altro quello riconducibile alla convinzione che, a prescindere dal disposto legislativo, sia più ‘interessante’ sentire che cosa dice la società e occorra quindi ricalibrare la legge secondo le aspettative sociali. La prima impostazione è certamente più fedele al significato della carta costituzionale, che comunque è anche espressione di una volontà popolare, ma la sentenza di ieri ha sposato di più la seconda tesi.
Intravvede il rischio di un mercato di gameti?
La decisione dei giudici apre al ricorso a gameti estranei, ma la loro commercializzazione rimane vietata e le procedure devono essere eseguite nei centri di procreazione medicalmente assistita pubblici o accreditati. Occorrerà tuttavia un’azione di monitoraggio da parte del ministero della Salute.