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Sirio 09 - 15 dicembre 2024
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Lombardia

La nuova legge sui luoghi di culto:
una risposta sbagliata
al pluralismo culturale e religioso

A poco più di un anno delle celebrazioni per l’anniversario dell’Editto di Milano, la Regione ha approvato una legge che, rendendo più difficile l’esercizio della libertà di culto, rischia di nuocere alla convivenza civile e di degradare il diritto di libertà religiosa. Monsignor Bressan: «Garantire un'effettiva libertà di culto»

di Alessandro FERRARI Fondazione Oasis

2 Febbraio 2015

La Giornata della Memoria 2015 è stata celebrata dalla Regione Lombardia con il voto della legge n. 62 che modifica la legge regionale per il governo del territorio approvata dieci anni orsono introducendo nuovi «principi per la pianificazione delle attrezzature per servizi religiosi». Si tratta di una normativa che rende più difficile l’esercizio di una delle più essenziali facoltà connesse al diritto costituzionale fondamentale di libertà religiosa e che, con lo scopo di impedire o dilazionare l’apertura di luoghi di culto per i fedeli musulmani, non solo non contribuisce alla costruzione di adeguati percorsi di convivenza civile e integrazione, ma finisce per degradare il diritto di libertà religiosa nel suo complesso a mero interesse legittimo alla mercé di un’arbitraria discrezionalità amministrativa.

L’apertura di un luogo di culto cessa di far parte del panorama urbano quotidiano per divenire evento eccezionale. Essa esce dall’ordinario piano dei servizi per divenire oggetto di un “atto separato”, meramente eventuale, sottoposto a specifica valutazione ambientale; al possibile giudizio referendario e alla valutazione di una fantomatica “consulta regionale”. La libertà religiosa come materia di contesa e divisione e di affermazione del primato delle maggioranze e del colore politico delle amministrazioni. Basti leggere l’incipit del n. 4 del nuovo art. 72: «Resta ferma la facoltà per i Comuni di indire referendum nel rispetto delle previsioni statutarie e dell’ordinamento statale». In realtà nulla «resta fermo»: si vuole malamente innovare, ma, come lascia trasparire il prudenziale richiamo alle «previsioni dell’ordinamento statale», in radicale contrarietà ai principi e valori della Costituzione. Contrarietà ai principi e valori della Costituzione che emerge anche dal tentativo di restringere alle sole «confessioni religiose con le quali lo Stato ha già approvato con legge la relativa intesa» la possibilità – quanto mai resa ardua – di dotarsi, legittimamente e alla luce del sole, di un luogo di culto. Qui la Regione Lombardia non solo erra, ma persevera. Risale, infatti, al 2002 la specifica censura della Corte costituzionale (sent. n. 346) a un’identica previsione contenuta nella legge regionale 20/1992. In quell’occasione la Corte, reiterando un suo precedente orientamento, aveva spiegato che disporre di un luogo di culto fa parte del contenuto minimo e insindacabile del diritto costituzionale di libertà religiosa e non può essere condizionato all’ottenimento di status dipendenti dalla discrezionalità del potere politico come, appunto, lo statuto di confessione con intesa. La legge chiede poi agli «enti delle confessioni religiose» prive di intesa statuti che esprimano «il rispetto dei principi e dei valori della Costituzione». Ma qual è lo standard di questo «rispetto»? Quello che traspare dalla legge appena approvata? Quello delle interpretazioni secolarizzanti maggioritarie? Chi – e secondo quali criteri – esaminerà gli statuti degli «enti delle confessioni religiose»? Con quali competenze? O ci si riferiva alle «associazioni religiose» in qualche modo legate a queste confessioni?

Gli enti confessionali aspiranti devono poi dimostrare non solo diffusione e organizzazione, ma anche «consistenza» e «significativo insediamento». Il criterio della «stabilità», più opportunamente previsto nella legge del 2005, viene, così, sostituito dalla mera logica quantitativa. In dodici niente cenacolo. Che dire, poi, della lista di previsioni da ottemperare nel «piano delle attrezzature»? Accanto a strade e opere di urbanizzazione primaria insistentemente «con onere a carico dei richiedenti» (in fondo, per la legge regionale, riunirsi a fini religiosi non è un diritto e guai a ricordare la possibilità di un finanziamento pubblico all’edilizia di culto!); servizi igienici e più che ampi parcheggi compaiono distanze politicamente determinate tra edifici delle diverse fedi (quando, forse, si dovrebbe cominciare a pensare a edifici multifunzionali e, dunque, ad avvicinare, più che ad allontanare, ghettizzandoli, i diversi fedeli); impianti di videosorveglianza e rispetto del peculiare paesaggio lombardo (ingenua norma anti-minareto).

Spiace anche constatare che ci si sia scordati del parere sui luoghi di culto approvato il 3 marzo 2011 dal “Comitato per l’Islam italiano” presieduto, come l’attuale Giunta regionale, dall’allora Ministro dell’Interno Roberto Maroni. Ebbene, quel parere, pur senza rinunciare a un’impostazione prevalentemente securitaria alla questione, dava comunque per acquisito che l’ordinamento italiano garantisse «in via generale, il diritto alla libertà religiosa che comprende, nel suo nucleo centrale, il diritto a disporre di luoghi di culto» così come che «per l’edilizia di culto non (è) necessaria la sottoscrizione di intese fra lo Stato e la comunità islamica in base a quanto previsto dall’articolo 8 della Costituzione italiana». Per la nuova legge regionale ciò non è più scontato.

È molto triste che questo provvedimento costituisca il primo frutto delle appena terminate celebrazioni dell’Editto di Milano e la risposta lombarda al pluralismo culturale e religioso che si manifesterà all’Expo. Questo voto, purtroppo condiviso da tanti politici che si riconoscono nella tradizione cattolica del nostro Paese, prova quanto in profondità la secolarizzazione abbia inciso nell’interpretazione del diritto costituzionale di libertà religiosa e quanto continui a pesare l’assenza, diffusa tra tutte le forze politiche, di una visione organica di lungo periodo capace di impostare una politica della cittadinanza costituzionalmente orientata.

Non consola ma, piuttosto, imbarazza sapere che la legge non si applicherà alla Chiesa cattolica. Non solo perché le differenze di trattamento in relazione ai “nuclei centrali” di un diritto di libertà non si possono ragionevolmente giustificare: gli articoli 2, 3, 8, 19 e 20 della nostra Costituzione risultano lesi, anche se letti alla luce del più elastico standard europeo. Imbarazza anche perché il diritto di libertà religiosa è, nel suo nucleo essenziale, indivisibile. Accanto alla solidarietà nei confronti delle tradizioni religiose così assurdamente colpite occorre al più presto adoperarsi per cambiare questa legge contro Costituzione e sbagliata. Occorre al più presto, proprio in questo momento storico, cambiare direzione.

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