Qualche giorno fa sono rimbalzati sui media i dati del report quadriennale redatto dall’Oms (Organizzazione mondiale della sanità) in merito allo stato psicofisico dei giovani europei. In particolare le considerazioni relative al rapporto con la scuola.
Lo studio è stato condotto nel 2013-2014 su un campione di ragazzi di 11, 13 e 15 anni, e tra l’altro rileva che soltanto il 26% delle undicenni italiane e il 17% dei coetanei maschi dichiara che la scuola “piace un sacco”, con un ulteriore calo di consenso nella fascia dei 15 anni, dove il dato scende rispettivamente a 10% e 8%. Meno entusiasti degli italiani sono solo estoni, greci e belgi, mentre al primo posto ci sono gli adolescenti armeni (68% e 48%).
Per quanto riguarda il rendimento scolastico, lo studio evidenzia come, sempre a 15 anni, solo metà delle ragazze e il 39% dei ragazzi italiani riporta performance “buone o eccellenti”, valori anche in questo caso molto sotto la media europea, superiori solo a quelli riferiti agli studenti di Belgio, Portogallo e Ungheria. Anche dal punto di vista della pressione percepita da parte del sistema scolastico i dati fanno riflettere, mettendo in evidenza come lo stress colpisca il 72% delle quindicenni e il 51% dei ragazzi. Ansia da prestazione, si potrebbe dire. E un ambiente, quello scolastico, percepito come più attento ai risultati, alle performance, piuttosto che alle persone.
Il curatore della parte italiana del rapporto Oms è Franco Cavallo, Ordinario di epidemiologia dell’Università di Torino. Ed è lui che parla, a proposito dei dati raccolti come di un «segnale preoccupante». «Era già così nella scorsa edizione del rapporto» ricorda l’esperto, facendo intendere come ci si trovi davanti a un fenomeno non passeggero e a dati confermati. «Non è da sottovalutare – ha commentato – questa pressione che viene sentita dal ragazzo. La sensazione è che sia legata soprattutto alla richiesta in termini di impegno, di ore di lavoro, all’ottenimento di determinati voti». Una scuola, dunque, esigente, nella quale, però, andrebbero «ritarati i programmi», ancora legati a un modello scolastico del passato, centrato sulla selezione. «La pressione – aggiunge Cavallo – viene condizionata sia dal rapporto con gli insegnanti sia dal rapporto che i genitori hanno con i docenti e la scuola stessa».
Stiamo parlando, vale la pena di ricordarlo, della fascia dell’obbligo e di un’età particolarmente delicata come quella dell’adolescenza. La scuola, in questa fase dovrebbe essere più che una “pentola a pressione” di tensioni ed emozioni, un’occasione di sfogo, di dipanamento della complessa matassa costituita dai vissuti dei nostri ragazzi, in un delicato equilibrio tra richiesta di prestazione e attenzione di cura. Non a caso nella scuola italiana un’intera stagione venne dedicata – tanti anni fa ormai – alle questioni del benessere, con progetti nazionali e sui territori mirati e incentivati. Nella convinzione che “stare bene a scuola” – o, traducendo nei termini del rapporto Oms, una scuola che “piace un sacco” – sia una condizione necessaria per favorire lo sviluppo armonico dei più giovani.
La scuola italiana non ha certo dimenticato la lezione. Forse, però, un “ripasso” sarebbe ancora utile.