I primi dati, seppur provvisori del Censimento della popolazione e delle abitazioni in Italia dell’autunno 2011, presentati a Roma il 27 aprile, fanno emergere il volto di un’Italia che cambia. L’armonizzazione europea della metodologia, le tecniche di raccolta, danno a questo Censimento un carattere nuovo e unico, tra quelli realizzati dal 1861 a oggi, in centocinquant’anni di storia italiana.
Più che sui dati generali, ormai noti (59.464.644 abitanti, 2 milioni di donne in più rispetto agli uomini, 27 milioni di persone al Nord e 32 milioni di persone al Centro-Sud, 2 milioni e mezzo di persone in più rispetto al 2001, Roma il Comune più popoloso con 2.600.000 abitanti, seguito da Milano, Napoli, Torino, Palermo e Genova), esistono alcuni dati particolari nel Censimento che possono illuminare percorsi educativi e sociali.
Un primo dato che credo importante riguarda i Comuni italiani. Oltre il 70% ha una popolazione non superiore ai 5.000 abitanti. Qui vivono 47 milioni di persone, nelle grandi città 13 milioni di persone. La vita italiana è ancora fortemente segnata dal “municipio”, cioè dalla possibilità di costruire una partecipazione di base, popolare, capace di sollecitare responsabilità comune. Nel e dal “municipio” può crescere un progetto politico e amministrativo che offre strumenti per la gestione delle relazioni: dalla registrazione anagrafica, al permesso di soggiorno, alla vita scolastica e formativa, alla tutela della salute e dell’ambiente, all’accompagnamento personale di chi è in difficoltà… Forse il nuovo welfare sociale ha i caratteri più municipali non nei suoi principi ispiratori e nei suoi livelli essenziali, ma nei suoi strumenti operativi e di garanzia e tutela delle persone e delle famiglie, soprattutto dei più deboli e fragili.
Un secondo dato riguarda la popolazione straniera presente in Italia. Seppur il dato della presenza straniera in Italia sia ancora provvisorio (3.770.000) rispetto alle stime, legate alle registrazioni anagrafiche, ai permessi di soggiorno e ai minori stranieri, finora note (cioè pari a circa 4.900.000 persone), perché mancano all’appello del Censimento ancora 1.300.000 persone, molte delle quali forse straniere per l’alta mobilità e le difficoltà di comunicazione, il dato rispetto al 2001 è superiore di 2.440.000 persone. È facile dedurre che la crescita della popolazione italiana in questi dieci anni sarebbe stata zero senza gli immigrati. Il peso di questa presenza è soprattutto al Nord (64,3%) e metà vive nei Comuni sopra i 5.000 abitanti fino a 20 mila abitanti e l’altra metà nelle città di provincia e nelle aree metropolitane. Sono due livelli di presenza degli immigrati in Italia che meriterebbero una differente attenzione e strutturazione dei servizi alla persona. L’incidenza del 16,1 di presenza straniera immigrata rispetto alla popolazione a Brescia non ha lo stesso peso e non può avere gli stessi servizi rispetto all’incidenza del 25% di popolazione straniera a Corte de’ Cortesi con Cignone, un paese di meno di 1.000 abitanti nel cremonese.
L’ultimo dato che vorrei segnalare riguarda il numero di famiglie triplicato dal 2001 a oggi che vive in baracche, roulotte: da 23.336 del 2001 a oltre 71 mila di oggi. È un ritorno a una situazione di povertà e di miseria di persone che impressiona e che segnala la necessità di un’attenzione alla povertà estrema, alla precarietà anche nel nostro Paese. Una povertà che riguarda, in particolar modo, minoranze, apolidi, stranieri, ma anche molte persone in Italia da anni.
Leggere il Censimento con gli occhi dell’interculturalità, della ricerca di nuove forme di tutele delle persone, della povertà e dell’impoverimento, per ridisegnare il nostro Paese con gli occhi del bene comune può aiutare a costruire la crescita dell’Italia.