Dopo circa tre mesi di manifestazioni di piazza e oltre cento morti lasciati sul terreno, in Ucraina si è giunti a una svolta importante. Proprio a causa di quelle cento morti, che avevano ormai delegittimato gravemente il suo ruolo, il presidente Yanukovich ha abbandonato Kiev per rifugiarsi nella parte orientale del Paese, sua roccaforte elettorale e patria della consistente minoranza russa. Dopo gli scontri della scorsa settimana Yanukovich – nei confronti del quale è stato spiccato un mandato di cattura con l’accusa di strage – avrebbe potuto tentare di rimanere al potere soltanto portando la crisi su una direzione simile a quella imboccata da Assad in Siria, ma le probabilità di successo sarebbero state modeste e avrebbe avuto bisogno del pieno appoggio delle forze di sicurezza, che invece probabilmente non c’è stato, o almeno non gli è stato accordato in misura sufficiente. Posto dinanzi a tale situazione, il Presidente ha dunque deciso di firmare un accordo di tregua con l’opposizione, che prevedesse l’indizione di elezioni anticipate e nell’euforia generale ha organizzato la propria fuga, veloce e silenziosa, lontano dalla capitale.
Nelle ultime ore il Parlamento ucraino ha cercato di fornire una copertura politica alla mobilitazione di massa che ha provocato la cacciata di Yanukovich, così da limitare la possibilità per quest’ultimo di presentare l’avvenuto come un colpo di Stato. Il Presidente della Camera è stato nominato Presidente della Repubblica ad interim e un voto parlamentare ha deciso la destituzione di Yanukovich, con ritorno alla Costituzione del 2004. Le elezioni generali sono state fissate per la fine di maggio, ma la partita per il futuro dell’Ucraina è ancora tutta da giocare e coinvolge sia attori politici interni, sia potenze esterne.
Prima di tutto, non si può ancora escludere del tutto il rischio di una guerra civile. L’Ucraina rimane uno Stato i cui confini etnonazionali sono storicamente difficili da tracciare e bisognerà vedere come le regioni di lingua russa reagiranno a questo cambiamento politico, iniziato sotto una spinta pro-occidentale, nazionalista e ostile all’influenza russa. C’è da sperare che il Presidente rimosso non cerchi, magari con qualche appoggio esterno, di mobilitare la popolazione orientale e di spaccare le forze armate, perché a quel punto sarebbe veramente difficile evitare la guerra. Un segnale positivo proviene dall’orientamento del partito di Yanukovich, che sembra averlo scaricato addossandogli la responsabilità delle violenze che hanno sconvolto Kiev negli ultimi giorni.
Per quanto riguarda il ruolo degli attori esterni, nonostante i grandi interessi in ballo, la Russia non avrebbe potuto imporre Yanukovich apertamente, ma non è da escludere un appoggio all’ex Presidente e alla minoranza russa, se quest’ultima lo seguisse ancora e manifestasse spinte secessioniste. Sicuramente la Russia giocherà tutto il proprio peso economico per influenzare il futuro dell’Ucraina e non farla allontanare dalla propria orbita geopolitica.
Dall’altro lato, l’Ue è risultata un’altra volta la grande assente. Davanti a una mobilitazione di massa iniziata proprio a causa della mancata firma di un patto di associazione fra Kiev e Bruxelles, l’Unione non ha avuto la determinazione sufficiente per garantire all’Ucraina quei finanziamenti che l’avrebbero svincolata dalla morsa di Mosca. Quando poi la crisi è diventata violenta, l’Ue si è vaporizzata, venendo meno alla propria missione pacificatrice. Le sanzioni sono arrivate in ritardo e la mediazione fra governo e opposizione è state svolta dalla Germania e dalla Polonia.
La situazione economica in Ucraina resta però grave. Il nuovo presidente probabilmente dovrà ricorrere ad aiuti da Bruxelles e prestiti dal Fmi. Le condizioni a cui verranno concessi i finanziamenti mostreranno quanto l’Occidente vuole investire sull’Ucraina.