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Lavoro

“Garanzia giovani”, luci e ombre

Il piano per l’occupazione giovanile, sostenuto dall’Unione europea, ha visto 130mila iscritti. Ma sono solo 18mila i posti offerti

di Andrea CASAVECCHIA

28 Luglio 2014

Garanzia giovani è partita. E molti ci credono. Saranno ricompensati? Il piano per l’occupazione giovanile, sostenuto dall’Unione europea, ha riscosso successo: in Italia dopo circa due mesi gli iscritti sul portale, aperto dal Ministero del lavoro, toccano i 130mila. Le imprese, invece, sono incerte: i posti offerti si fermano sotto i 18mila. Certo, le azioni del Governo per coinvolgere le aziende non sono ancora a regime: campagna di sensibilizzazione e proposta di incentivi economici, per i quali ancora non è chiara la modalità di erogazione.

Il piano prevede che questi 130mila ricevano una prima risposta-proposta: entro quattro mesi dovrebbero sentirsi offrire una opportunità formativa o lavorativa. Il ritardo nel coinvolgimento delle imprese rischia di deludere i giovani che non solo cercano lavoro, ma si sono fidati delle istituzioni italiane ed europee e soprattutto hanno creduto in un loro progetto.

I motivi del lento avvio provengono da lontano. Un primo nodo problematico è la scarsa fiducia e cooperazione tra aziende, operatori pubblici e persone in cerca di occupazione. I centri per l’impiego godono di scarsa fiducia. In Italia il reclutamento delle aziende, spesso si tratta di imprese di piccole dimensioni a gestione familiare, avviene per conoscenza, per segnalazione, al limite tramite banche-dati interne.

Gli esperti da tempo suggeriscono una ristrutturazione dei centri, perché possano agire su due direzioni: raccolta delle esigenze delle imprese sul territorio e specializzazione su profili professionali mirati. E ancora prima andrebbe migliorato lo scambio di informazioni e la collaborazione tra pubblico e privato, perché si possa operare verso una convergenza tra domanda e offerta di lavoro.

Un secondo nodo problematico è nella differenza tra i territori. La realizzazione di “Garanzia giovani” è affidata alle Regioni. Così in Italia ci si confronterà con 20 strategie diverse, o quasi. Questa situazione per alcuni può incontrare due possibili rischi: da una parte prestare più attenzione alla creazione di lavoro per i formatori più che per i giovani, dall’altra la tentazione di risolvere con i finanziamenti ricevuti problemi di liquidità per le agenzie di lavoro (pubbliche o private) sul territorio. Inoltre si potrebbe determinare un ulteriore squilibrio perché purtroppo non tutti i territori sono uguali: ci sono zone, specialmente al Sud, in cui le occasioni sono scarse. Nell’immediato si riscontra ritardi di alcune regioni, poi però il gap potrebbe addirittura peggiorare.

Sarebbe opportuno sciogliere questi nodi per non deludere 130mila giovani. Maurizio Ferrera, uno dei maggiori esperti di politiche sociali in Italia, suggerisce di concentrarsi su due attenzioni per evitare una débacle: la richiesta alle Regioni di rispettare criteri minimi di trasparenza ed efficacia; strutturare incentivi per attrarre investimenti nel Mezzogiorno con una politica su turismo e servizi in modo da rendere possibile l’avvio di nuove imprese giovanili e l’autoimpiego.