Il Tribunale internazionale de L’Aja – con una sentenza del 4 febbraio – ha messo al riparo la Repubblica Federale di Germania dalle sentenze e dai risarcimenti decisi da un Tribunale greco e dalla Corte di Cassazione italiana per le stragi perpetrate dall’esercito tedesco e per la deportazione e costrizione al lavoro coatto di centinaia di migliaia di militari e civili italiani.
«Si chiude così una fase di una vicenda giuridica, storica, politica che si trascina dal fatale 8 settembre 1943 – commenta il professor Valter Merazzi, responsabile del Centro di ricerca “Schiavi di Hitler” -. Si tratta di un provvedimento che va giudicato in tutta la sua gravità: è l’ultimo schiaffo alle vittime; compromette un’azione giudiziaria tenace in grado di produrre giurisprudenza e sentenze; vanifica le legittime aspettative dei pochi sopravvissuti e delle associazioni locali, che da molti anni chiedono giustizia; è un offesa a qualsiasi politica della Memoria». Merazzi esprime «una severa condanna verso questa sentenza presa a maggioranza e nella continuità di una real-politik che ancora domina questo infinito dopoguerra. Si è voluto mettere una pietra tombale sulla responsabilità della Germania e della sue imprese».
Merazzi giudica la sentenza «grave, perché ha riflessi sul diritto internazionale e interviene sul delicato e decisivo confine fra diritto individuale e responsabilità istituzionale. Ristabilendo l’immunità degli Stati verso gli individui, anche nei casi di “crimine contro l’umanità”, i giudici riuniti a L’Aja hanno preso decisioni che riguardano il nostro presente e le sue regole».
Il responsabile del Centro di ricerca “Schiavi di Hitler” si dice convinto «che la decisione della Corte, che chiude una causa giudiziaria abbandonata alla sua ineluttabilità dalla politica, dai media e dagli storici nell’ignoranza dell’opinione pubblica, sia soprattutto importante per i pochi reduci ancora in vita e per i loro familiari, cui viene negata la possibilità di ottenere giustizia. Questo dal nostro punto di vista è il vero discrimine».
«La storia degli Internati militari italiani, “traditi, disprezzati , dimenticati”, come ha scritto Gerhard Schreiber – continua Merazzi -, resta affidata alla memoria individuale, a una miriade di racconti che seguono la stessa trama e le identiche violenze e che chiedono attenzione per una vicenda che ha avuto un peso nella vita personale e nella storia del Paese. Lo stesso riguarda i pochi sopravvissuti alle stragi e i parenti, a cui rimane solo il dolore».
Precisa Merazzi: «Restano ancora aperti i tempi e gli spazi per nuove cause davanti ad altri tribunali internazionali e per una soluzione politica affidata agli Stati. È importante rilevare che il dispositivo della sentenza riconosce le vittime e la necessità di sanare il danno. La ricucitura della ferita ancora aperta nella storia dell’Europa è affidata alle diplomazie in un’epoca di grandi turbolenze economiche, sociali, politiche e dei rapporti bilaterali. Questo non induce certamente ottimismo, ma su questo punto dovremo sollecitare con forza decisioni».
«Riteniamo che i crimini contro l’umanità della deportazione, della strage, della costrizione al lavoro forzato non siano prescrivibili e che giustizia in questo caso non sia stata fatta – conclude Merazzi -. Questo è altresì importante perché ha riflessi su un comune senso storico nazionale ed europeo rispettoso dei fatti e delle vittime».