Pubblichiamo il testo della lettera di monsignor Samir Nassar, arcivescovo maronita di Damasco, sulla drammatica situazione nella capitale siriana
Scrivo finché sono vivo e finché l’accesso a Internet rimane possibile. Dalla mattina di martedì 17 luglio 2012, i combattimenti hanno raggiunto la capitale. Damasco fa ricorso alle armi pesanti, ai carri armati e agli elicotteri in una città sovrappopolata. Le distruzioni sono enormi. Quale calvario!
Gli scontri si svolgono nelle strade e si diffondono da un quartiere all’altro. Impossibile dormire con la paura, il frastuono delle bombe e dei cannoni. Le temperature estive vanno da 42° a 56° e i black-out della corrente elettrica sono un tormento.
Damasco, isolata dal resto della Siria, accusa molteplici forme di penuria. I rifornimenti non arrivano più. Siamo a corto di pane, di verdure, di viveri, di gas domestico e di carburante per le panetterie.
Si salvi chi può. Moltissime famiglie abbandonano i quartieri caldi per andare a formare una fila interminabile sulla strada che porta in Libano. Le altre strade verso la Giordania, verso l’Iraq e quelle del nord verso Homs-Alep sono chiuse. L’esodo verso il Libano si svolge nel panico generale. Spero che trovino l’accoglienza adatta. I siriani, infatti, hanno accolto così bene i profughi palestinesi, libanesi ed iracheni.
I pochi fedeli che hanno osato venire a cercare il coraggio alla messa hanno acceso molte candele davanti alla tomba dei Beati Martiri di Damasco. Si sono scambiati addii e lacrime prima di ritornare di corsa a casa al suono degli spari e delle esplosioni.