«Se dovessi condensare in una sola frase il programma che dovrebbe darsi il nuovo sindaco, proporrei la seguente: rendere la città un terreno fertile in cui far germogliare assieme idee che producono sviluppo economico e scelte di vita che generano valore sociale. Dopodiché, va bene anche riaprire i Navigli e tutto il resto…». Alla vigilia della Giornata per la vita (domenica 7 febbraio) Alessandro Rosina, demografo dell’Università cattolica, riflette sulla situazione delle nascite e del calo demografico. E lancia una provocazione a chi guiderà la metropoli: creare innanzitutto le condizioni di sostegno alla vita. Anche perché a Milano, negli ultimi tempi, la natalità è in ripresa.
Più volte il cardinale Scola ha sottolineato il dramma del gelo demografico. Lei cosa ne pensa?
L’Italia è un Paese in affanno, prostrato dalla crisi, con troppi freni che ne imbrigliano le energie e ne comprimono la vitalità. Uno dei riscontri più evidenti di questa depressione economica e sociale è offerto dall’andamento delle nascite: a metà degli anni Sessanta nascevano un milione di bambini, oggi con fatica arriviamo a farne la metà. Dopo il record negativo di 503 mila nascite nel 2014, immigrati compresi, i dati non definitivi del 2015 sembrano ancora peggiori.
In particolare qual è la situazione a Milano?
Anche Milano evidenzia un andamento delle nascite che, dopo un picco di oltre 12 mila e 500 raggiunto negli anni precedenti la crisi, scende attorno alle 11 mila e 500 unità. Quest’ultimo dato, a differenza della situazione nazionale, non è però un record negativo, risultando comunque di circa 2 mila unità superiore rispetto ai valori di metà anni Novanta. Questa differenza tra andamento nazionale e cittadino la si vede anche nella composizione per età della popolazione: mentre in quella italiana la consistenza demografica di chi ha meno di 5 anni è più bassa rispetto a qualsiasi altra fascia di età dai 70 in giù, viceversa, tra i residenti a Milano, il peso più ridotto corrisponde a chi ha oggi tra i 15 e i 20 anni.
Dunque, un segnale positivo di inversione di tendenza…
Infatti. La maggior tenuta rispetto alla crisi risulta ancora più evidente passando dai valori assoluti sulle nascite a indicatori più raffinati sulla fecondità forniti in modo dettagliato e aggiornato sul recente portale “SiSI – Sistema statistico integrato” del Comune. Il tasso di fecondità totale, ovvero il numero medio di figli per donna, era ancora attorno a 1,45 in Italia prima degli effetti della recessione ed è poi sceso fino a 1,37 nel 2014. Il corrispondente dato milanese, da sempre sotto la media nazionale, risulta invece salire nel 2014 rispetto agli anni precedenti, tanto da arrivare a convergere esattamente con l’1,37 italiano. Un risultato non disprezzabile, soprattutto se si considera che la fecondità delle donne straniere è scesa da oltre 2,1 figli prima della crisi a meno di 1,8 e che l’età media alla maternità delle milanesi (pari circa a 33,5) è più tardiva di due anni rispetto alla media nazionale.
In tutto questo quanto pesa la situazione economica e occupazionale?
Anche dal punto di vista demografico Milano sembra aver subito l’impatto della recessione in modo meno drammatico rispetto al resto del Paese. Oltre alle condizioni materiali – che frenano soprattutto il fare famiglia dei giovani – sulla decisione di avere un figlio pesa il contesto sociale in cui si vive e il clima di fiducia verso il futuro. La situazione economico-strutturale e la formazione di aspettative positive non sono fattori indipendenti, ma nello sbloccare scelte responsabilizzanti verso il domani, più che le difficoltà dell’oggi, conta il sentirsi inseriti in una comunità che cresce e all’interno della quale l’impegno verso il futuro è incoraggiato e sostenuto. Per mettere in circuito virtuoso demografia e sviluppo è allora necessario convertire da individuale a collettiva la sfida a migliorarsi continuamente connaturata nei milanesi e convertire da interesse di parte a bene comune l’impegno della politica.