Noi italiani siamo convinti che il nostro stellone, alla fine, aggiusti ogni cosa. Abbiamo maturato nel corso di questi decenni di pace e prosperità un senso di fatalismo positivo che ci lascia un retropensiero di ottimismo anche nei momenti più difficili: vedrai, tutto si aggiusta. Infatti parliamo ancora oggi, a cinque anni di distanza dall’inizio, come di una crisi economica a U: c’è la discesa, ci sarà la risalita. Questione di fiducia, teniamo duro, poi passerà anche questa buia nottata.
Non ci sono le condizioni oggettive per coltivare simile ottimismo, e le recenti dichiarazioni dei nostri governanti (Mario Monti in primis) sono appunto memento collettivo di una fragilità delle condizioni di salute italiane ancora preoccupante. Anche perché la malattia potrebbe essere mortale: stiamo assistendo in diretta al disfacimento dello Stato greco, infettato da un virus risultato inguaribile.
Quel che ci preoccupava nel novembre 2011 – quando i partiti lasciarono il campo ai tecnici – continua a preoccuparci nel maggio 2012. La crisi dell’euro è ancora tutta lì, se crollasse la moneta unica ricorderemmo questi cinque anni come un paradiso, rispetto all’inferno che ci toccherà. La “ripresa economica” è solo la vuota formula con cui esprimiamo quel nostro ottimismo di fondo: non sappiamo nemmeno come avviare il discorso, e nessuno da fuori questa volta ci aiuterà.
Il debito pubblico è inscalfito, e ci costa sempre caro il continuare a rinnovare il nostro impegno con i creditori. Non abbiamo fatto alcuna vera riforma, cioè vero cambiamento strutturale, ma solo un doveroso e doloroso aggiustamento alle nostre abitudini di spesa, accoppiato a un’ulteriore e ultimativa spremitura dei nostri redditi.
All’appello mancano appunto gli aggiustamenti radicali a una macchina che perde colpi, cioè le riforme. Si parla, si discute, si filosofeggia. Ma la pubblica amministrazione – bolsa e costosa – non si sa come migliorarla; la legge elettorale pure; del ruolo dei partiti si discute mentre i partiti stessi sembrano gelati all’equatore; della giustizia non ne parliamo. Al Mezzogiorno è stata data di fresco la solita manciata di briciole che nemmeno sa raccogliere da terra, visto che la classe dirigente locale non è in grado neppure di spendere i fondi europei a disposizione.
Quindi non c’è nulla per cui rilassarsi. E invece stiamo già cominciando a farlo. Monti e i suoi collaboratori hanno la data di scadenza sul collo: febbraio 2013. Allora la legislatura si scioglierà per indire nuove elezioni, e i partiti stanno scervellandosi se aspettare fino ad allora, o cacciare i tecnici già quest’autunno. Ad attendere la deriva greca dei partiti italiani sono pure i nostri creditori, pronti a togliere fiducia al debito pubblico tricolore se vedranno che, a gestirlo, torneranno coloro che già una volta hanno completamente fallito. E nessuno più ci salverebbe.
Le nostre elites avrebbero bisogno di un salutare contatto con i territori che amministrano. Capire che la cassa integrazione di oggi non è altro che il preludio della disoccupazione di domani. Che i consumi interni sono in picchiata, dalle automobili fino addirittura ai prodotti alimentari. Che c’è un fortissimo bisogno di una buonissima politica portata avanti da persone avvedute e lungimiranti.
Non sono inopportuni gli appelli che presidente del Consiglio e ministri stanno lanciando in questi giorni all’opinione pubblica sulla gravità del momento. È inopportuno che la classe politica stessa abbia una deriva di stampo ellenico: partiti che giocano con il fuoco e solo per i propri interessi, mentre fuori crolla tutto.
Non è l’economia che governa le società, ma le società che scelgono le proprie regole economiche e il proprio futuro. Il punto nodale qui è la democrazia, non lo spread. Ma se lo spread impazzisce, salta la democrazia incapace di controllarlo, e i popoli allora sentono il bisogno di affidarsi a poteri forti, a uomini forti che sospendono le regole e “ci pensano loro”. Il Novecento ci ha raccontato questa storia più e più volte. Ecco: per quanto sembri incredibile a dirsi, forse gli italiani non hanno ben compreso la gravità del momento, convinti che prima o poi la nostra fatina azzurra farà abracadabra e tutto si sistemerà.