Due occasioni incoraggianti ci narrano l’opportunità di un’Italia diversa da quella che ultimamente siamo abituati a osservare. Nel giro di pochi giorni abbiamo assistito a due eventi che ci suggeriscono e propongono trasformazioni per la vita democratica e per la vita economica. Da una parte la consegna al Parlamento della sintesi dei lavori per le riforme istituzionali, prodotta dalla commissione dei “saggi”. Dall’altra parte l’inaugurazione, a Loppiano, della Scuola per l’economia civile.
I due episodi sono estremamente diversi tra loro: uno coinvolge le istituzioni al loro massimo livello, mentre l’altro nasce da un’azione coordinata tra accademici e società civile. Però entrambi indicano una vitalità che quasi stride con l’immagine del nostro Paese stanco, inerte, quasi vicino alla paralisi. Entrambi i momenti ci mostrano poi alcune risorse e alcune potenzialità per reagire e guardare al domani con speranza, non solo con timore.
Il primo episodio ci invita a riflettere sulle possibilità di confrontarsi in un dibattito aperto e franco sull’architettura istituzionale. Il gruppo di esperti costituzionalisti, con approcci teorici diversi e provenienti da aree politico-culturali differenti, o meglio contrapposte, ha dimostrato di saper trovare una sintesi. I giuristi indicano tre grandi temi sui quali sarebbe utile intervenire: superare il bicameralismo perfetto tra Camera e Senato; cercare una forma di governo legata al primo ministro; ritoccare il sistema dei poteri tra Stato e Regioni.
Questo episodio, una buona pratica per l’esercizio della discussione in democrazia ha reso visibile anche un secondo elemento per la convivenza: la distinzione dei ruoli. Il documento non modifica nulla è una traccia, una proposta per i politici. Spetterà al Parlamento eletto dai cittadini, discutere, scegliere, indicare come l’Italia aggiornerà la sua democrazia.
Il secondo episodio ci invita a riflettere sulla proposta di una nuova forma di economia realizzabile. Non si tratta di un’economia senza mercato, ma di un’economia che inserisce le persone e l’ambiente in cui vivono al centro del proprio interesse; un’economia che pone al centro i valori e non il profitto; che coinvolge i cittadini come protagonisti delle loro scelte di consumo; che si interessa ai “beni di stimolo”, come sostiene il professor Leonardo Becchetti, cioè quei beni che aiutano l’uomo piuttosto che “beni di confort”, cioè quelli che producono dipendenza e portano al consumismo.
La scuola di economia civile ci conferma l’esistenza di realtà della società civile che costruiscono sul territorio esempi concreti di imprese, consumatori e investitori "civili”, ma rilancia con il tentativo di elaborazione culturale per radicare il cambiamento in uno stile di vita e in un comportamento diffuso.