Netanyahu vince ma perde: si potrebbero sintetizzare così i risultati del voto di ieri, in Israele, che ha visto un’affluenza del 66,6%, la più alta delle due precedenti tornate elettorali del 2006 e 2009.
Un voto anticipato, voluto dal premier Netanyahu, guida del partito di destra Likud, che per l’occasione si era alleato con Yisrael Beitenu di Avigdor Lieberman, nella speranza di raccogliere consensi maggiori dopo l’operazione militare a Gaza dello scorso novembre. Dalle urne è uscito un risultato diverso: la coalizione di destra Likud-Yisrael Beitenu resta primo partito conquistando però solo 31 seggi, 11 in meno rispetto alle scorse elezioni. Ora Netanyahu potrebbe essere riconfermato premier per la terza volta, ma con un margine di manovra estremamente limitato.
La vera sorpresa di queste elezioni è il partito centrista Yesh Adit (“C’è un futuro”) di Yair Lapid, fondato a gennaio del 2012 e risultato secondo con ben 19 seggi. Staccati nei risultati sono i laburisti di Shelly Yachimovich (in leggera ripresa, 15 seggi) e Casa ebraica (Habayit Hayehudi) di Naftali Bennet, l’ultradestra nazional-religiosa legata al movimento dei coloni, con 11 seggi. Stessi seggi per la destra religiosa dello Shas. Più indietro il Meretz (6 deputati), i centristi di Hatnuah dell’ex ministro degli Esteri Tzipi Livni (6), 4 rappresentanti per Hadash mentre Kadima si ferma a 2. Tra i partiti religiosi Shas avrà 11 deputati, la United Torah Judaism 7. Le formazioni arabe-israeliane hanno conquistato in totale 8 deputati: 5 la United Araab List, 3 Balad. Si tratta, tuttavia di una ripartizione provvisoria in quanto devono essere computate, dopo lo spoglio, le schede degli israeliani residenti all’estero. Ecco il commento di Janiki Cingoli, direttore del Centro italiano per la pace in Medio Oriente (Cipmo).
Il quotidiano Haaretz parla oggi di «vittoria di Pirro» per il premier uscente Netanyahu. È proprio cosi?
Un pareggio numerico ma una sconfitta politica. L’alleanza Likud-Yisrael Beitenu, del premier Benjamin Netanyahu e di Avigdor Lieberman ha conquistato solo 31 seggi, 11 in meno rispetto alle scorse elezioni. Dal voto viene fuori un Paese più frammentato, che si pone più domande su sé stesso, di quanto non fosse la percezione dell’opinione pubblica mondiale.
A chi attribuire la batosta subita dalla destra?
Non so se attribuirla all’incriminazione per frode di Lieberman che potrebbe aver provocato un contraccolpo nel suo elettorato o se non sia stata piuttosto causata dalla rincorsa di Netanyahu al partito nazional-religioso ‘Casa ebraica’ di Naftali Bennet, legato al movimento dei coloni. Per farlo il premier ha assunto posizioni oltranziste sugli insediamenti e sulla questione dei negoziati palestinesi, entrando in contrasto prima con il presidente Usa Obama e poi con quello israeliano Peres. Così facendo Netanyahu si è scoperto sul fronte del centro-sinistra. Nel suo arco sono mancate le risposte alle grandi questioni sociali che non poco preoccupano il Paese.
A ben guardare i risultati, il centro-sinistra avrebbe persino potuto aggiudicarsi la tornata elettorale. Cosa gli ha impedito di riportare una storica affermazione?
Il centro-sinistra sconta il fatto che non ha creduto alla possibilità di vincere, pagando così il mancato accordo elettorale a vantaggio della frammentazione. Non ha saputo capire la variazione che era in atto nel Paese e che si è poi manifestata nel voto.
Il partito centrista Yesh Adit (“C’è un futuro”) di Yair Lapid è la vera sorpresa uscita dalle urne: per lui 19 seggi, il più votato dopo l’alleanza Likud-Yisrael Beitenu. Da dove nasce questo successo?
L’affermazione di Lapid è l’espressione di un forte disagio del ceto medio produttivo al quale l’anchorman televisivo si è rivolto in campagna elettorale. Il ceto medio è preoccupato dal calo della crescita che dal 5% è passata al 3%, dalla crescente divaricazione sociale, da una componente di povertà che era stata pure evidenziata in grandi manifestazioni di strada. Una situazione che Lapid ha saputo comprendere e mettere in evidenza nel suo programma.
I labour tornano, seppure di poco a crescere…
Per i laburisti si tratta di una ripresa del tutto inferiore alle aspettative e la leader Shelly Yachimovich ne esce ridimensionata. La scelta di puntare in campagna elettorale solo sulle questioni sociali, escludendo quella palestinese, ha avvantaggiato partiti come Meretz. I Labour si sono visti rosicchiare consensi a sinistra e al centro da Meretz e dal partito di Lapid.
Come giudica, invece, la perfomance dei partiti arabo-israeliani?
Le formazioni arabe-israeliane hanno grosso modo confermato i loro seggi. La Lega araba aveva esortato l’elettorato arabo israeliano ad andare a votare e anche il patriarca latino emerito di Gerusalemme, Michel Sabbah, aveva lanciato un appello ad andare alle urne.
Cosa accadrà adesso?
Credo che Peres darà l’incarico a Netanyahu. Ritengo sarà difficile, per esempio, mettere insieme il partito laico ‘Yesh Adit’ (‘C’è un futuro’) di Yair Lapid, con quello degli ortodossi sefarditi dello Shas. Combinare le diverse anime politiche emerse da questo voto non sarà compito facile per Netanyahu che non può fare altro che ricercare la coalizione più ampia possibile, un governo di unità nazionale che includa qualche partito di centro-sinistra, come quelli di Lapid e Livni e anche Kadima, precipitato da 28 seggi a due. Non è da escludere anche la possibilità che si possa tornare, presto, alle urne