Il “caso” Montepaschi di Siena – una banca mal gestita da tempo e che ora si scopre con i conti non in regola – rimette sotto i riflettori una montagna gigantesca che, però, rimane incredibilmente nell’ombra dell’economia internazionale: la cosiddetta “finanza creativa”. Anzi no: incredibilmente non è l’avverbio giusto, perché è proprio l’ombra l’humus ideale in cui prospera la famiglia dei derivati. Dell’oscurità ha assoluta necessità, per varie ragioni. E nell’oscurità è meglio che tutto sommato rimanga. Se fosse chiara a tutti l’entità delle sue dimensioni, l’impatto sul mondo sarebbe paragonabile a quello di un meteorite.
Esageriamo? Per nulla. Su questo pianeta circolano oltre 600 mila miliardi di dollari di derivati. Cifra incomprensibile da quanto appare astronomica. Quantifichiamola meglio: siamo attorno a dieci volte la ricchezza prodotta nel mondo in un anno. Ma è tutta carta, dentro la quale stanno i nostri destini.
L’uomo cominciò con il commerciare le proprie eccedenze agricole in regime di baratto: poi s’inventò i metalli preziosi, quindi le monete, infine la carta moneta ormai sostanzialmente sganciata da qualsiasi valore sottostante (in teoria, c’è l’oro). Con i soldi, ridotti a numeri nei computer, chi li maneggia può fare molte cose, la più attraente delle quali è quella di far germinare altri soldi.
Già, ma i percorsi classici (investimenti economici, finanziamenti, mutui…) hanno vari “difetti”: la rischiosità, anzitutto, e – negli ultimi anni – la lentezza nel fruttare utili per quella fetta di mondo (banche, finanziarie, fondi d’investimento, anche aziende) che vuole moltissimo e subito. Da qui l’invenzione di strumenti finanziari con vari scopi, da quello di suddividere i rischi d’investimento in maniera esponenziale (vedi i mutui subprime americani) a quello di speculare sopra qualsiasi cosa: il prezzo delle arance, l’andamento di un indice finanziario, il numero di fallimenti pronosticato in un Paese… Su tutto, come in una gigantesca bisca dove c’è chi vince e chi perde puntando chi sul nero, chi sul rosso di infiniteroulette.
Questi derivati hanno appunto due caratteristiche: sono un’infinità tale che nessuno al mondo ha in realtà un’idea precisa della loro dimensione; per loro natura massimizzano profitti (e perdite). Possono renderti ricchissimo anche in pochi minuti; possono mandare in malora una primaria banca internazionale, una multinazionale solida, un intero Paese.
I primi dieci anni del Duemila saranno ricordati nella Storia come gli anni delle follie finanziarie su scala planetaria. Purtroppo anche l’attuale decennio non appare immune, perché nessuno sa più come si possa contenere questa colossale montagna di fittizia ricchezza. Se alla fine qualcuno vince e incassa, qualcun altro deve perdere e pagare. Già: chi? E quanto?
Questo è il turno di Montepaschi, dove i derivati sono stati usati per operazioni ora al vaglio delle autorità preposte. Non ci sono enormi cifre in ballo, ma l’istituto di Siena non è certo in grado di farvi fronte, ad oggi. O salta il Monte, o lo salva lo Stato che vi ha già da tempo immesso qualche miliardo di euro per sostenere (non a fondo perduto) la più antica banca del mondo.
Il resto degli istituti italiani ha in corpo qualcosa come 200 miliardi di derivati, scommesse che speriamo nessuno perda altrimenti sarebbero guai. Né può consolarci il fatto che altre banche mondiali di altissimo lignaggio siano zeppe all’inverosimile (altro che noi!) di questi prodotti finanziari: come abbiamo visto con il crack americano del 2008, ormai il mondo è totalmente connesso. E un mal di pancia locale duole poi a livello globale. Figuriamoci un tumore come i derivati fuori controllo.
Che fare? Affidarsi alla responsabilità di Paesi, istituzioni internazionali, singoli operatori. Esiste questo senso di responsabilità? Per ora no. Esistono norme internazionali che regolino il tutto? Per ora no. Esiste infine una consapevolezza generale sulla bomba su cui siamo seduti? Per ora no. Per paradosso, forse è meglio così. Ma il sistema finanziario mondiale così come i potenti del mondo, sino a quando potranno continuare a nascondere la polvere sotto il tappeto?