Al sesto giorno (19 novembre) dell’operazione militare lanciata da Israele contro la Striscia di Gaza il parroco della parrocchia latina, padre Jorge Hernandez, di ritorno tra i suoi parrocchiani, racconta la paura continua e crescente della popolazione.
«Vi scrivo dalla nostra parrocchia della Santa Famiglia a Gaza che fa parte del Patriarcato latino di Gerusalemme e conta circa 200 cattolici. Il luogo è conosciuto da tutti e anche il complesso parrocchiale che ospita i bambini della scuola – cristiani e musulmani – come una sola famiglia. La tensione che c’è nella Striscia di Gaza da sabato 10 novembre è già nota. Essa si è intensificata, in particolare da mercoledì 14. La situazione non è cambiata, ma piuttosto peggiora di giorno in giorno. La pressione dei bombardamenti continua notte e giorno, si amplifica sempre più con il perdurare del conflitto. Il rumore assordante delle bombe, l’insicurezza e la paura fanno subire alla gente una tortura, non solo sanguinosa, ma anche crudele e spietata sia sul piano spirituale che psichico. Basti vedere il caso, a esempio, di una giovane ragazza della nostra parrocchia che ha avuto una crisi di nervi a causa dei bombardamenti. Non è il primo caso, non è che un esempio tra gli altri. Si può ricordare anche la giovane Cristina Wadi Al Turk, cristiana uccisa da un infarto dovuto al freddo e alla paura durante la guerra del 2008-2009. Chiediamo a tutti i responsabili di lasciare Gaza vivere in pace!
Il lettore attento domanderà: come stanno gli abitanti? Cosa stanno vivendo? In una parola essi hanno paura e non può essere diversamente. I missili non capiscono né l’etica, né la morale. Non fanno distinzione tra giovani e meno giovani, tra cristiani e musulmani, tra uomini e donne… Semplicemente cadono e poi distruggono. Quando sentiamo gli aerei e poi i missili proviamo una tristezza interiore molto grande e alcuni un sollievo di vedere che non sono stati colpiti. Con sempre la stessa domanda: “Fino a quando?”. Gli abitanti non vogliono niente di più che vivere semplicemente la loro vita. Domandiamo a tutti i responsabili di lasciare Gaza vivere in pace! C’interrogano sui cristiani che soffrono. Sì, essi soffrono in quanto cristiani, ma anche soffrono in quanto Palestinesi. Come Palestinesi soffrono per l’ingiusta aggressione, nella stessa maniera dei loro fratelli musulmani, ma, in quanto cristiani, essi si rassegnano e si affidano alla divina Provvidenza di Dio Padre, con un semplice“AlHamdu lil’a” (Dio sia lodato!). Si riconosce così una forza straordinaria che li caratterizza e che edifica quando emerge paradossalmente da questa sofferenza.
E voi missionari? Noi rendiamo grazie a Dio, stiamo bene. La nostra missione è di essere vicini ai cristiani di Gaza. Accompagnarli, portare questa croce con loro. Telefoniamo a loro, li incoraggiamo e li confortiamo, insegnando loro il vero senso cristiano della sofferenza, ossia la partecipazione alle sofferenze di Cristo. E questo gesto, che è nostro, lo riconoscono, gli danno valore e l’apprezzano. Ci supplicano: ‘Non partite… Capiamo che siete tentati di partire, ma è meglio che restate con noi’… Queste sono le frasi con molte altre ancora che i nostri parrocchiani ci confidano. Il solo fatto di sapersi accompagnati nella sofferenza è un enorme sollievo. È questo il nostro compito. Sarebbe tuttavia lungo descrivere qual è l’attitudine interiore del parroco, dei religiosi e dei missionari in tali circostanze come sono le presenti. Durante la celebrazione della Messa, nel silenzio dell’Adorazione Eucaristica, durante la recita del Santo Rosario presentiamo tutti coloro che soffrono. Impariamo anche a essere pronti in ogni momento a porre la nostra vita nelle mani del Signore e a meditare sulla vita eterna. A ogni bomba che cade si eleva una preghiera al buon Dio che accolga queste povere anime e che abbia pietà di loro. Pensiamo: quante morti inutili! Quanti morti innocenti per una ragione che non conoscono! Quanti orfani e vedove a causa di questi attacchi! Per ciascuna e per ciascuno di loro si innalza una preghiera al cielo.
Non siamo dei pionieri in questo. Consolare e compatire è il dovere della Chiesa Madre, è anche il dovere e il compito del sacerdote. E tra tanti altri di padre Manuel Musallam, che è stato parroco di questa comunità nei momenti difficili e nei tempi di guerra e che oggi è anche con noi e ci insegna. È opportuno notare l’esempio edificante di coraggio e di sottomissione totale e incondizionata delle religiose che sono nella nostra parrocchia e che hanno preferito restare qui e portare questa croce con gli altri. Tre congregazioni religiose sono presenti nella Striscia di Gaza: le Suore del Rosario (di Gerusalemme), le Missionarie della Carità di Madre Teresa e le Serve del Signore e della Vergine di Matarà. Le loro preghiere e orazioni sono una benedizione e Dio le saprà ricompensare per la loro generosità.
Infine, per concludere, non dimentichiamo quanto la guerra sia sempre terribile. Nessuno guadagna in una guerra. Direi anche di più, sempre si perde. Ciascuna delle due parti dovrà pagare, a suo modo, le conseguenze della guerra. Le conseguenze di tutti i tipi, compresa la conseguenza di aver perso ciò che è più proprio dell’uomo “la sua umanità”. Che nostro Signore Gesù Cristo “Principe della pace” e Dio di misericordia protegga questo popolo che L’accolse durante la sua fuga in Egitto, che illumini i suoi responsabili e benedica questa terra con il dono della pace. Ci affidiamo alle vostre preghiere in Cristo e alla Santissima Vergine».