Per il 150° dell’Unità d’Italia, la Fondazione Censis ha promosso la ricerca “I valori degli italiani. Dall’individualismo alla riscoperta delle relazioni”. Un elemento caratterizzante della trasformazione socioeconomica del Paese è stato il forte soggettivismo, che ha portato a quello che la ricerca del Censis, presentata ieri pomeriggio a Roma, ha definito “disastro antropologico” (crescita dell’aggressività, diffusione delle patologie individuali, mancanza di senso del futuro e della trascendenza). Adesso, però, la ricerca mostra che il soggettivismo è in crisi e le cose stanno cambiando. Parla Paola Ricci Sindoni, docente di filosofia morale all’Università di Messina, di commentare i dati più interessanti.
Un primo aspetto interessante è che le persone affermano di avere meno desiderio di acquistare beni di consumo…
Le notizie delle turbolenze dei mercati finanziari e i correttivi del governo per ridurre il debito pubblico e il rischio di una disgregazione sociale hanno avuto un forte impatto sulle coscienze. Come ci dice sempre il Papa, il crollo di certe sicurezze economiche e finanziarie possono riconvertirsi in valori, nella misura in cui ci misuriamo con i nostri bisogni e diamo un taglio ai desideri che spesso sono indotti dalla pubblicità. Questo lascia anche più spazio alle relazioni. Se il soggetto riempie il suo tempo nel soddisfare i suoi desideri, non ne ha per gli altri. I genitori imparano di nuovo a dire no ai capricci dei figli e a ragionare con loro spiegando i motivi per cui è superfluo comprare un giocattolo in più.
Ritorna anche la tendenza a cercare modelli: il padre si piazza al primo posto (22,1%), la madre (12,9) al secondo. Come giudica questo fatto?
Ciò dimostra l’importanza del ruolo della famiglia, che è sempre dirompente nella formazione della coscienza. In famiglia infatti s’impara la fiducia nell’altro, il rispetto, la solidarietà. Questa è la riscoperta non di un valore tradizionale, come viene ironicamente etichettato da chi vorrebbe sostenere che tutto è famiglia, ma di un valore che è sempre attuale. Cambiano i contesti sociali, culturali ed economici, ma il valore resta.
Rispetto agli anni Ottanta, oggi si registra anche un aumento di coloro che si dicono credenti dal 45,1% al 65,6%…
Certamente la persona è costitutivamente aperta alla trascendenza, ma questo bisogno deve essere ben indirizzato per evitare una gestione del sacro secondo le proprie esigenze.
I valori coesivi degli italiani sono il senso della famiglia (65,4%), il gusto per la qualità della vita (25%), la tradizione religiosa (21,5%), l’amore per il bello (20,1%), la voglia d’intraprendere (19,9%), i legami comunitari locali (11,5%): sono questi i valori su cui scommettere per l’Italia del futuro?
Sono valori importanti soprattutto la famiglia, la tradizione religiosa, i legami con il territorio. La qualità della vita riflette anche un trend imposto dalla moda ecologica.
Un altro aspetto è il coesistere di sregolatezza di pulsioni e richiesta di normazione: come se lo spiega?
Spesso si attiva una pratica psicologica secondo la quale a me tutto è permesso, mentre gli altri fanno paura e vanno regolati. C’è poca sensibilità nel capire che io sono anche gli altri: tutto ciò che fanno gli altri mi riguarda e anch’io devo essere regolato dalla legge. Spesso i giovani sono severi verso i comportamenti dei loro coetanei, ma non fanno autocritica.
Alla domanda cosa serve all’Italia al primo posto ci sono moralità e onestà…
Lo specchio in cui l’italiano medio si va a riflettere è la classe politica, a cui abbiamo consegnato le speranze di una società civile migliore e di un welfare più a misura dei nostri bisogni. Quando la classe politica delude fortemente sul piano del rispetto delle regole, emerge giustamente il bisogno di moralità tra i cittadini contro il malcostume.
Gli italiani riscoprono la prossimità, fidandosi di chi sta loro più vicino, ma non tanto dei lontani…
Le relazioni s’incarnano nelle persone e, quindi, si attivano fiducia e rispetto laddove li puoi anche ricevere in un riconoscimento reciproco. Ciò che vale nelle relazioni corte non può valere anche in quelle lunghe, che sono astratte e lontane. Sarebbero accolte se ci fosse anche un ethos collettivo maggiormente diffuso, come era negli anni dopo la guerra quando c’era un sentire comune che apparentava le diverse classi sociali e le diverse regioni italiane. Oggi non è più così.