La storia della scuola italiana racconta che, per molti anni, il primo problema dell’Italia unita fu portare i ragazzi a scuola. A cominciare dalla seconda metà dell’Ottocento, e certo passando attraverso tensioni e attenzioni molto diversificate, la "battaglia" per la piena scolarizzazione è stata lunga e difficile.
Oggi l’obbligo scolastico raggiunge sostanzialmente tutti, garantendo importanti opportunità, ma di questi tutti, la scuola italiana continua a perderne alcuni per strada. È il problema della dispersione scolastica. Abbiamo portato sì tutti i ragazzini nelle scuola, ma alcuni di loro non riusciamo a tenerli. Le rilevazioni del Ministero dicono che nell’anno scolastico 2011/2012 gli studenti “a rischio di abbandono” risultano 3.409 nelle scuole medie (0,2 per cento degli alunni iscritti a settembre) e 31.397 nelle scuole superiori (1,2 per cento degli iscritti). Nelle medie (precisa sempre il Ministero), gli alunni “a rischio di abbandono” sono prevalentemente iscritti al secondo e al terzo anno; il fenomeno è più evidente nelle superiori in cui l’abbandono interessa prevalentemente il terzo e quarto anno di corso. Il rischio di abbandono riguarda più il Sud che il Nord del Paese, coinvolge più gli alunni maschi delle femmine e gli stranieri più degli italiani.
A livello europeo il problema italiano risalta, poiché il nostro Paese si colloca, per quanto riguarda la dispersione, al quart’ultimo posto nella graduatoria dei ventotto Paesi dell’Unione europea, subito dopo il Portogallo. L’indicatore utilizzato per l’analisi del fenomeno in ambito europeo è quello degli “early school leavers”, che considera la quota dei giovani dai 18 ai 24 anni in possesso della sola licenza media e che sono fuori dal sistema nazionale di istruzione e da quello regionale di istruzione e formazione professionale. In Italia si tratta del 17,6% (18,2% nel 2011) contro una media Ue del 12,8% (13,5% nel 2011). Nel 2012, tuttavia, gli “early school leavers” italiani sono diminuiti rispetto agli anni precedenti.
Senza addentrarsi dei numeri, appare evidente (e non da oggi) la necessità di rinforzare il sistema italiano e il problema è ben noto. Esistono molti progetti e ricerche sul campo, sperimentazioni da Nord a Sud per combattere la dispersione, anche con risultati significativi, incentrati spesso sul raccordo scuola-lavoro. L’importanza della questione è rimbalzata anche recentemente nel discorso del premier Letta per chiedere la fiducia al Senato: in un passaggio ha accennato alla «grande battaglia contro la dispersione scolastica», soprattutto al Sud, da vincere perché «il reclutamento della scuola batta il reclutamento della strada».
E qui emerge la posta in gioco: la grande opportunità della scuola in termini di prospettiva per il futuro del Paese, dei giovani. Di qui passa la costruzione di un’Italia migliore. Combattere la dispersione vuol dire, una volta di più, scommettere sulla “cura”, sulla costruzione di socialità e responsabilità, di cittadinanza. Vuol dire combattere un impoverimento del Paese (anche economico, se c’è chi ha calcolato che la dispersione costa in termini di Pil circa 70 miliardi l’anno), che non possiamo – e non vogliamo – permetterci.