Concluso il periodo delle festività natalizie, i responsabili italiani dell’antiterrorismo, dal Ministro dell’Interno in giù, hanno tirato un sospiro di sollievo. Il rilievo simbolico del Natale e le concentrazioni di folla della notte di Capodanno rappresentano sempre fattori di maggior rischio, ma stavolta l’attentato del 19 dicembre a Berlino ha reso questa consapevolezza acuta come non mai. E ora? La guardia resta alta, molto alta.
In termini tecnici, l’allerta è appena un gradino sotto il massimo, in una scala che articola in tre scatti il livello più elevato, denominato Alfa. Siamo in Alfa 2, laddove Alfa 3 indica un attacco terroristico in corso. È dalla strage del Bataclan a Parigi che l’allerta è di questa portata e purtroppo quel che è avvenuto dopo quel tragico 13 novembre 2015 non ha consentito di alleggerire l’allarme.
Le azioni di individui più o meno isolati (anche se il senso di questo isolamento va precisato di volta in volta, visti i legami di vario tipo che poi le indagini mettono in luce) e con mezzi che appartengono alla vita “normale” (i Tir a Nizza e Berlino) hanno richiesto una rimodulazione continua delle linee di contrasto. Non si tratta soltanto di ricorrere a soluzioni tecniche coerenti con il nuovo quadro, come l’introduzione di barriere antisfondamento negli accessi ai luoghi più affollati. È la filosofia stessa dell’intervento che dev’essere continuamente aggiornata.
Il punto è stato fatto proprio il giorno dopo l’attentato di Berlino in una riunione del Casa (Comitato di analisi strategica antiterrorismo), il tavolo permanente tra forze dell’ordine e apparati d’intelligence, che è uno degli strumenti più preziosi al servizio del Ministro dell’Interno ed è collegato anche agli organismi analoghi presenti negli altri Paesi. Il titolare del Viminale, Marco Minniti, dopo questa riunione ha parlato di «un modello di difesa che coinvolga tutte le forze territoriali, dal prefetto al sindaco, passando per la polizia locale», e ha sottolineato che, di conseguenza, «non ci saranno più liste di obiettivi uguali in tutta Italia, ma misure modulate rispetto alle realtà di regioni e comuni che sono diverse e come tali devono essere trattate». Toccherà quindi ai Comitati provinciali per l’ordine pubblico, convocati dai prefetti e a cui partecipano le istituzioni locali e tutte le forze di sicurezza, individuare in ciascuna situazione le soluzioni più adeguate.
Quando il Ministro ha reso queste dichiarazioni non poteva certo immaginare che, di lì a poco, due poliziotti impegnati in un normale servizio di controllo a Sesto San Giovanni avrebbero intercettato e neutralizzato l’attentatore di Berlino, ricercato affannosamente dalle polizie di tutta Europa. E questo evento si è rivelato quasi una conferma a posteriori della bontà di quell’approccio diffuso e territoriale all’antiterrorismo che, a ben vedere, è in linea con la tradizione italiana di gestione della sicurezza.
In questa prospettiva va letta anche la decisione del Cnosp (Comitato nazionale dell’ordine e della sicurezza pubblica) di prorogare per tutto il 2017 l’operazione “Strade sicure” che prevede l’impiego di oltre 7mila militari in compiti di controllo del territorio e prevenzione, in particolare in riferimento ai cosiddetti obiettivi sensibili (sedi istituzionali e politiche, ambasciate, eccetera).
Accanto alla presenza sul territorio, l’altro pilastro della prevenzione è l’attività d’intelligence. Nei giorni scorsi ha concluso i suoi lavori la Commissione di studio sul fenomeno della radicalizzazione e dell’estremismo jihadista, insediata dal Governo a settembre. Da questi esperti è venuta un’indicazione chiara su quali siano i luoghi in cui avviene l’incubazione dei terroristi: le carceri e il web. È qui, dunque, che occorre concentrare l’attenzione, lavorando molto – soprattutto per ciò che riguarda internet – sul coordinamento internazionale. Il fatto che in Italia la radicalizzazione sia ancora un fenomeno di dimensioni ridotte, rispetto ad altri Paesi, non deve indurre a sottovalutarlo, ma al contrario rappresenta un’opportunità da cogliere tempestivamente perché rende possibile interventi più efficaci, sia per prevenire il passaggio a forme estreme e violente di militanza, sia per aiutare i soggetti a de-radicalizzarsi, qualora ce ne siano le condizioni. Qui il discorso si allarga. «La comunità dell’antiterrorismo – ha spiegato il coordinatore della commissione Lorenzo Vidino, esperto a livello internazionale di estremismo islamico – ha capito che un approccio basato solo sulla repressione non è più sufficiente. Il messaggio che arriva dall’Isis va contrastato sia sui social media sia con azioni di ingaggio positivo sul territorio. Le comunità locali devono essere coinvolte, serve una partnership con la società civile».