Tra le misure contemplate nella cosiddetta manovra “Salva-Italia” c’è la reintroduzione dell’Ici sulla prima casa. Puntuale torna a farsi sentire la già nota polemica sui presunti benefici fiscali della Chiesa, che si allarga anche ad altri “privilegi”. Un quotidiano nazionale parla di «evasione fiscale legalizzata» e di Chiesa «prodiga di consigli sull’equità della manovra», ma «attaccata ai suoi privilegi». Ne parliamo col giurista Giuseppe Dalla Torre, rettore della Lumsa.
Oggetto di polemica è soprattutto l’esenzione dal pagamento dell’Ici…
L’esenzione dall’Imposta comunale sugli immobili – beneficio fiscale di cui gode non solo la Chiesa, ma anche la pluralità di organizzazioni ed enti “laici”, pubblici o privati, non commerciali e riconducibili al no profit – ha la sua ragione di essere nel servizio sociale che la Chiesa garantisce attraverso le sue diverse realtà e che si traduce in mense per indigenti, scuole materne, case famiglia e di riposo, strutture di accoglienza per studenti e lavoratori fuori sede. Tutti servizi di alta rilevanza sociale che lo Stato non è in grado di gestire; se lo facesse, li sosterrebbe a costi certamente più elevati di questi enti, nei quali è attiva anche una forte presenza di volontariato, o addirittura in alcuni casi si svolge tutto su base volontaria.
L’esenzione dall’Ici è dunque, in ultima analisi, “vantaggiosa” anche per lo Stato?
Senza dubbio. Rappresenta in sostanza un’agevolazione volta ad assicurare alle fasce più deboli della società, che diversamente verrebbero ulteriormente marginalizzate, una serie di servizi altrimenti inesistenti o più costosi. Si tratta di un sistema vantaggioso sia per la cittadinanza, sia per lo Stato. Sotto il profilo strettamente economico è interesse di quest’ultimo continuare a consentire agli enti no profit di farsi carico di questi servizi.
Occorre chiarire l’equivoco secondo il quale la Chiesa non è mai soggetta a tassazione…
L’esenzione dall’Ici è riconosciuta solo per gli immobili non commerciali. Per gli altri, la Chiesa o gli enti religiosi proprietari sono assoggettati, come tutti, a tassazione. A Roma, per esempio, a causa del suo consistente patrimonio immobiliare spesso locato a fine di reddito, uno dei maggiori contribuenti dell’Ici è il Vaticano attraverso la Congregazione di Propaganda Fide.
Tra le “accuse” mosse in questi giorni alla Chiesa, anche quella di pretendere dallo Stato “stipendi” per i cappellani militari, delle carceri e degli ospedali…
La Costituzione afferma, tra l’altro, che tutti i cittadini hanno il diritto di professare la propria fede religiosa, e che lo Stato deve abbattere gli ostacoli – che possono essere di ordine normativo, economico, culturale – che impediscono (art. 3 sul principio di uguaglianza) ad alcune categorie di cittadini la fruizione o l’esercizio di questo diritto. Se i nostri soldati in Afghanistan avvertono l’esigenza di assistenza spirituale, lo Stato, in caso non la garantisse loro, non sarebbe laico e violerebbe il principio di libertà religiosa, diritto costituzionalmente garantito. Questo vale anche per i degenti negli ospedali, gli anziani nelle case di cura, i carcerati: tutte persone a diverso titolo gravemente limitate nella propria liberta personale. Non si tratta di “regalie” alla Chiesa, bensì di remunerazioni per un lavoro svolto. Del resto la figura del cappellano militare a carico dello Stato, perché svolge un servizio a suo favore, esiste anche in paesi non concordatari come Francia, Germania e Stati Uniti.
Quale, allora la risposta che può dare la Chiesa?
A questa polemica strumentale e mistificatoria e la Chiesa dovrebbe rispondere in un solo modo: con un impegno ancora maggiore nel venire incontro alle situazioni di sofferenza, disagio, emarginazione: un’azione che svolge da sempre, ma che evidentemente non è ben conosciuta. Il suo impegno caritativo è a 360 gradi, ma non ostenta medaglie al merito. Verrebbe da dire: rendiamo pubblico il resoconto di tutte le attività svolte affinché la gente ne tocchi con mano la consistenza, ma sarebbe contrario al nostro stile e al nostro spirito. La manovra porterà certamente all’emersione di ulteriori forme di povertà e bisogno. Tra queste magari l’usura, fenomeno gravissimo al quale lo Stato risponde esclusivamente con l’azione penale, mentre le diocesi hanno dato vita a Fondazioni in grado di “accompagnare” le persone, le famiglie o le piccole aziende coinvolte per aiutarle a uscirne. Ritengo che la testimonianza più significativa che la Chiesa e tutte le istituzioni facenti capo al mondo cattolico possono dare non sia il beau geste di rinunciare all’esenzione dall’Ici – colpo mortale che le costringerebbe a chiudere attività divenute non più sostenibili -, ma quella di un rafforzamento del proprio impegno.
Dunque occorre lungimiranza nelle valutazioni e nei giudizi?
Di fronte alle polemiche sciocche e strumentali di questi giorni, mi viene in mente l’insegnamento contenuto in parole pronunciate dal presidente Monti: quello di guardare al di là del contingente e del quotidiano. La gente ha bisogno di incoraggiamento e sostegno, non di polemiche sterili e controproducenti, supportate da accanimento ideologico e talvolta da una concezione statalista che soffoca la società civile e va contro il dettato costituzionale.