Assicuratore, commentatore di pallacanestro e attivo
nell’As Mojazza, in Odiavo Larry Bird. Storie di basket
&di orgoglio giallonero l’autore eleva un inno d’amore
a questa disciplina e alle potenzialità educative dello sport
Chi ha passato la trentina ricorda senz’altro le telecronache delle grandi sfide Nba degli anni Ottanta su Italia 1, affidate all’istrionismo verbale di Dan Peterson. Leit-motiv di quegli anni era la rivalità tra Boston e Los Angeles. Celtics contro Lakers, East Coast vs West Coast, ma anche Larry Legend Bird contro Earvin Magic Johnson. Il primo, orgoglio di Boston; il secondo, stella di Los Angeles.
Davanti alla televisione Mario Fumagalli, allora ragazzo, non aveva grande ammirazione per il numero 33 bostoniano. Oggi che si avvia verso la quarantina, lavora per un’assicurazione, nel tempo libero si prodiga in svariate funzioni per le sorti dell’As Mojazza e scrive di basket, Fumagalli ha riesumato quell’antica antipatia per titolare il suo romanzo autobiografico.
Odiavo Larry Bird. Storie di basket & di orgoglio giallonero (Ares, pagg. 160, 12 euro) è prima di tutto un inno d’amore alla pallacanestro. In secondo luogo, muovendosi con disinvoltura tra i campi dilettantistici milanesi e le arene dell’Nba, ribadisce una volta di più il carico di emozioni e il valore educativo che lo sport – qualsiasi sport – può trasfondere nella formazione e nella maturazione di una persona.
«Nella lettura – è il consiglio di Dino Meneghin, un “grande” del parquet che firma l’introduzione – soffermatevi dietro la linea del tiro da tre punti e prima di “forzare” un tiro provate a guardarvi in giro per vedere se ci sono altre opzioni. Vi invito a guardare oltre a ciò che sembra, istintivamente, la cosa più ovvia e vi assicuro che vi capiterà di stupirvi nello scoprire come il raccogliere e riempire borracce, esattamente come l’essere Dino Meneghin, sono con pari dignità una via per diventare uomini».
Adesso Fumagalli non odia più Larry Bird. Anzi, lo ammira profondamente, come uomo prima che come campione. E nella nota introduttiva lo ringrazia pure: perché «neppure Magic Johnson sarebbe stato così grande senza di lui».