Dopo una fuga di oltre 110 km il corridore della T-Mobile,
secondo a Spoleto, strappa la maglia rosa a Di Luca.
Le prossime tappe – dall’arrivo in salita a Nostra Signora
della Guardia fino al tappone dolomitico delle Tre Cime
di Lavaredo – verificheranno le ambizioni dei favoriti
di Mauro Colombo
Una fuga d’altri tempi, quella che ha proiettato Marco Pinotti, bergamasco della T-Mobile, in testa alla classifica del Giro d’Italia alla fine della prima settimana di corsa. Preceduto dal colombiano Valverde sul traguardo di Spoleto dopo 110 km di avventura, Pinotti ha distanziato il gruppo di oltre 7 minuti e ha così strappato la maglia rosa a Danilo Di Luca.
Il quale aveva in effetti lasciato intendere di poter anche cedere il primato, per non sfiancare la squadra nella sua difesa. Grazie alla condizione già palesata nella trionfale Liegi-Bastogne-Liegi e al traguardo di Montevergine di Mercogliano disegnato su misura per lui, l’abruzzese ha rispettato il pronostico che lo voleva in prima fila nella settimana iniziale del Giro: guidando la sua Liquigas alla vittoria nella cronosquadre d’esordio, facendo buon viso a cattivo gioco davanti allo “scippo” della maglia rosa da parte del gregario Gasparotto (con cui poi si è “palleggiato” per tre giorni le insegne del primato) e conquistando d’autorità il primo arrivo in salita del Giro.
Adesso, però, viene il difficile. Perché da qui al secondo giorno di riposo (lunedì 28 maggio), il menù propone l’arrivo in ascesa al Santuario di Nostra Signora della Guardia, il tappone alpino con Sanpeyre, Colle dell’Agnello e Izoard, la cronoscalata Biella-Oropa, la Cantù-Bergamo con Passo San Marco e Colle di San Gallo e infine la tappa dolomitica con San Pellegrino, Giau, Tre Croci e arrivo alle Tre Cime di Lavaredo. In questi giorni Di Luca dovrà dimostrare se davvero può puntare a vincere il Giro, prima di affrontare la terza settimana di corsa, in passato il suo tallone d’Achille.
Ma le prossime tappe serviranno anche a capire qualcosa in più dei suoi avversari: se il brillante Cunego terzo a Mercogliano sta lievitando; se il Simoni sin qui poco incisivo (e sempre alle spalle del giovane compagno Riccò) sta solo scaldando il motore in vista dei giorni decisivi; se Garzelli e’ ancora uomo da maglia rosa; se Popovych e Savoldelli (bocciato a Montevergine) possono nutrire ambizioni che vanno al di là di semplici traguardi parziali. La strada dirà.
Per quanto ha detto sin qui, invece, il Giro 2007 è corsa equilibrata. Lo dimostrano sei vincitori diversi in sei tappe (cronosquadre a parte). Ma se Robbie McEwen (12ª vittoria al Giro) ha timbrato il cartellino a Bosa, il successo di Alessandro Petacchi a Cagliari merita qualche parola in più. A un anno dalla rovinosa caduta nel Giro 2006 – che gli era costato il ritiro dalla corsa e, in pratica, quasi tutta la stagione -, il velocista spezzino è forse uscito dal tunnel in cui l’avevano spinto le precarie condizioni fisiche e anche una crisi di convinzione.
Più volte, nel recente passato, al termine di volate perse l’abbiamo sentito dichiarare: «La squadra ha funzionato, io no»: parole che fanno onore alla sua onestà di atleta, ma che stonano in un mondo – quello degli sprinter – popolato di spavaldi guasconi, più pronti a denunciare le colpe altrui che i propri errori. Per il Giro – che, assorbito lo choc-Basso, sta riannodando il suo legame d’affetto con la gente sulle strade della penisola – aver ritrovato Ale-Jet e’ un bel colpo.