Quasi sei milioni di spettatori per la fiction trasmessa da Rai 1.
Felice Gimondi, apparso nel ruolo di se stesso: «L’ho fatto
in segno di omaggio a un campione che ha lasciato un segno
indelebile. Abbastanza fedele il ritratto che ne è stato fatto,
anche se alcuni personaggi non hanno avuto il giusto risalto»
di Mauro Colombo
A quasi tre anni dalla sua ultima fuga (l’anniversario esatto della morte è il 14 febbraio), il ricordo di Marco Pantani continua a interessare e commuovere il pubblico. Sono stati 5.571.000 (pari al 20,97% di share) gli spettatori che hanno assistito a Il Pirata – Marco Pantani, la fiction diretta da Claudio Bonivento trasmessa lunedì sera in prima serata su Rai 1.
L’infanzia tra le partite a pallone con gli amici e la pesca con nonno Sotero; le prime affermazioni in bicicletta; l’esplosione tra i professionisti; la faticosa ripresa dopo il grave incidente della Milano-Torino; le grandi imprese al Giro e al Tour del 1998; l’amore travolgente e disperato con Christina… E poi il brusco stop di Madonna di Campiglio 1999, l’ematocrita sballato, i sospetti avvertiti sulla pelle, l’impossibilità di capire e di farsi capire, fino a sprofondare nel tunnel della depressione e della droga e non riuscire più ad alzarsi sui pedali, come cantano gli Stadio nella struggente colonna sonora.
Tutto questo è stato rivissuto attraverso l’intensa e convincente interpretazione di Rolando Ravello, affiancato da Nicoletta Romanoff, Gianfelice Facchetti, Ivano Marescotti e Omero Antonutti. E da Felice Gimondi, apparso nel ruolo di se stesso ad alzare il braccio di Ravello sul podio del Tour, come aveva fatto con il vero Pantani a Parigi nel 1998. L’ex fuoriclasse bergamasco, che del Pirata è stato dirigente ai tempi della Bianchi, confessa: «Mi sembrava doveroso partecipare a questo lavoro, in segno di omaggio e di rispetto per un campione che ha lasciato un segno indelebile».
E lo dimostra l’audience, quasi sei milioni di spettatori davanti al video…
Sicuramente. È stato un atleta che, con le sue imprese, ha saputo coinvolgere tutti sotto il profilo emotivo.
Che giudizio complessivo dà della fiction?
Nel complesso il personaggio di Pantani è stato reso fedelmente, soprattutto per quanto riguarda l’ultima fase della sua vita. È mancato però il giusto risalto ad alcuni personaggi che sono stati a contatto diretto con lui: Luciano Pezzi, molto vicino a Marco nei suoi anni d’oro, non è comparso; Davide Boifava, il primo direttore sportivo tra i professionisti, neppure: Giuseppe Martinelli, ds della Mercatone Uno, non è stato rappresentato realisticamente. E poi, forse non avrebbe disturbato qualche spezzone in più del “vero” Pantani.
Lei ha sempre sostenuto che Pantani non si è messo nelle condizioni di farsi aiutare a uscire dal vicolo cieco in cui era finito: la fiction ha reso questa idea?
Abbastanza. Marco era un ragazzo che ascoltava, ma poi decideva di testa sua. Dopo Madonna di Campiglio, inoltre, si fece diffidente, giocava in difesa con tutti. Sono rimasto con lui per un anno e mezzo, ma non sono mai riuscito a creare quella confidenza, quel dialogo che dovrebbe instaurarsi tra un atleta e un dirigente.
La fiction si chiude con un’immagine di speranza: Ravello-Pantani che esce da un tunnel in bicicletta, seguito dai ragazzini del gruppo sportivo intitolato al Pirata. Che tipo di esempio può trasmettere il ricordo del campione ai giovanissimi appassionati?
Sarebbe necessario spiegare loro la sua carriera, con gli alti e bassi che ha avuto, e anche l’epilogo della sua vicenda umana. Ma è difficile stabilire cosa indicare a esempio quando un personaggio come Maradona – che non rappresenta certo un modello educativo – viene omaggiato con dvd e pagine e pagine di giornale…