Senza diventare improvvisamente euforici, possiamo ben dire che per il nostro rugby la fase di apprendistato, costellata da cocenti e vistose sconfitte e da figure non propriamente gloriose, è finita da un pezzo. Ce ne siamo accorti nel recente trittico di test-match con Tonga, Nuova Zelanda e Australia, che hanno mostrato una squadra finalmente convincente, al cospetto di un pubblico entusiasta: una ventata d’aria pura per un movimento sportivo assediato in altre discipline soltanto da scandali e veleni.
E se il nostro Ct Jaques Brunel continua nel suo tormentone, secondo il quale in tre anni, visto il materiale umano a disposizione, gli azzurri potranno essere in grado di vincere il Sei Nazioni, molto più modestamente ci piacerebbe che all’estero le grandi potenze della palla ovale ci rispettassero di più. Forse cominceranno a farlo dopo la gara con gli All Blacks, che anche solo fino a un paio di anni fa rischiava di finire con un pallottoliere infinito per gli attuali campioni del mondo e che invece ha mostrato un primo tempo giocato quasi alla pari da Bergamasco e compagni, con un tifo indiavolato da parte dei 70 mila dell’Olimpico, roba da far invidiare Roma e Lazio: neppure al recente derby calcistico si è vista tanta passione.
D’altronde anche solo la leggendaria Haka (la danza tribale dei maori) valeva il costo del biglietto e, comunque sia, valori come lo spirito di gruppo, la lealtà e l’onestà sportiva fanno sì che il mondo della palla ovale rappresenti un po’ un’eccezione nello sport contemporaneo. Così come il fair-play, che nel calcio hanno cercato d’impiantare a forza, ma che continuamente viene calpestato da simulazioni, colpi proibiti e insulti vari: nel rugby invece il “terzo tempo” è un’istituzione sacra e anche dopo la partita più ruvida, non è raro vedere giocatori avversari finire a tavola insieme.
Se pensiamo cosa è successo pochi giorni prima di Italia-Australia a Roma, versante calcio, con l’indegna aggressione degli ultrà laziali contro i supporters del Tottenham e un bilancio di dieci feriti oltre a un pub distrutto, capiamo che ormai la distanza tra i due modi di concepire lo sport è diventata abissale. Finalmente, però, la gente comincia a prendere le distanze da certe scene di quotidiana bestialità, scegliendo uno sport sì rude, ma in cui l’aria è per fortuna ancora respirabile.