Le campane suoneranno in tutte le chiese cristiane, la mattina in cui le Olimpiadi cominciano a Londra, il 27 luglio, mentre si celebrerà una messa per gli atleti di fede cattolica, sabato 28 luglio alle 14.30, nella cattedrale di Westminster. Sono alcune delle iniziative religiose per le Olimpiadi. Ne parla monsignor Mario Lusek, direttore dell’Ufficio nazionale di pastorale per il tempo libero, turismo e sport della Cei.
Perché questa grande attenzione della Chiesa alle Olimpiadi, quali valori vede in questo evento sportivo mondiale?
La Chiesa dà importanza alle Olimpiadi perché ha guardato sempre allo sport come a un possibile luogo di valori e di testimonianza alta, come metafora della stessa esistenza. La Chiesa non guarda solo all’evento internazionale, ma all’occasione che esso offre per tre settimane come presenza di prossimità, di amicizia, di vicinanza, portando il suo specifico, l’annuncio di Gesù Cristo, nel mondo dello sport. Saranno per questo tante le iniziative. La Chiesa sarà presente, inoltre, attraverso le figure dei cappellani accompagnatori. Per quanto riguarda gli atleti italiani ci sarà anche un rapporto con la parrocchia degli italiani a Londra, St. Peter’s Church, dove questa sera si celebrerà la messa per la comunità degli italiani e il nostro contingente già presente.
È bello che la squadra azzurra inizi il cammino olimpico con la messa: una testimonianza di fede in un mondo sempre più secolarizzato…
Il presidente del Coni ha accolto con molto entusiasmo la proposta della messa che è venuta dai Padri Pallottini, che reggono la parrocchia di St. Peter. La parrocchia degli italiani è un punto di riferimento, di aggregazione, di socializzazione e di annuncio di fede. È un luogo simbolo, dal quale il contingente italiano vuole cominciare la sua avventura olimpica in modo solenne, manifestando la vicinanza alla comunità italiana londinese e il suo sentirsi parte dell’esperienza di Chiesa. Lo sport italiano è stato sempre di casa nella vita ecclesiale. Ne sono esempi le aggregazioni, i patronati, gli oratori che la Chiesa ha sempre valorizzato.
I cappellani presenti alle Olimpiadi che tipo di sostegno daranno agli atleti?
L’esperienza di un villaggio olimpico è simile a quella di un oratorio di una parrocchia, in cui il sacerdote partecipa alla vita degli atleti, seguendo l’impegno dei singoli, condividendone le tensioni, le ansie, le preoccupazioni, la gioia per le vittorie e la delusione per le sconfitte. Pur non essendo un tifoso accanito, il cappellano sarà coinvolto nell’esperienza appassionante di seguire le varie gare, ma, nello stesso tempo, sarà accanto alla persona che chiede e si avvicina. La presenza del cappellano non passa inosservata, è apprezzata, accolta e valorizzata proprio come figura religiosa. Nel villaggio olimpico sarà, poi, realizzato un centro multireligioso, nel quale i cattolici saranno presenti con più celebrazioni quotidiane.
Quali sono i valori dello sport da portare nella vita quotidiana per un mondo migliore?
Noi stiamo cercando di far emergere quella funzione educativa dello sport che è nascosta il più delle volte. Questo passa attraverso la testimonianza dei singoli atleti, che, attraverso il gioco, la gara, l’agonismo, la fatica a tirar fuori il meglio di sé, rappresentano la dinamica stessa della vita e diventano simboli per i ragazzi del nostro tempo nell’accettare la sfida della crescita, della maturazione umana, del superamento dei nostri limiti per raggiungere la felicità. Lo sport, infatti, è metafora di gioia e felicità. In questo senso, ci stiamo impegnando con il Manifesto dello sport educativo per riscoprire l’intenzionalità educativa all’interno della pratica sportiva, favorendo un ripensamento dello sport. Siamo consapevoli, infatti, che lo sport riflette la cultura dominante e le contraddizioni della società contemporanea. Di qui la necessità di un pensiero più alto che faccia riemergere le potenzialità educative dello sport. A noi interessa lo sport che è per l’uomo. Lo stesso agonismo può essere un mezzo per crescere e arrivare alla realizzazione di sé. Ci piace, poi, il rapporto tra sport e festa, per riscoprire la dimensione ludica nella gara e nell’incontro con l’avversario, che non è nemico ma un altro da te che ti provoca a dare il meglio di te.
Per la prima volta la Chiesa cattolica partecipa insieme con le altre Chiese cristiane all’iniziativa More than gold: le Olimpiadi sono, oltre che un’occasione di evangelizzazione, anche un’opportunità per il dialogo ecumenico?
Sicuramente sì. L’Inghilterra è un terreno adatto per favorire l’ecumenismo. Già le Olimpiadi sono un evento propizio: le nazioni che partecipano superano quelle rappresentate all’Onu. Lo sport arriva, insomma, dove la politica e l’impegno degli Stati talvolta non riescono ad arrivare. Sono convinto che anche l’esperienza religiosa, soprattutto delle confessioni cristiane, che hanno elaborato una piattaforma comune di presenza e di azione per le Olimpiadi, possa essere una specie di lievito, di fermento all’interno dell’evento olimpico per favorire ancora di più il dialogo ecumenico e interreligioso.