A 25 anni ancora da compiere il tris di Palloni d’Oro consacra Lionel Messi tra i fuoriclasse assoluti. Meno perentoria della prima, molto più convincente della seconda, questa terza affermazione consecutiva nella prestigiosa classifica di France Football fa del piccolo genio argentino il re del calcio tra la prima e la seconda decade del Duemila. Un primato attestato da un ricchissimo palmarès di successi.
Messi è riuscito a trasformare quello che era un handicap – la statura inferiore alla media a causa di un problema ormonale – in una risorsa, punto di partenza per le sue serpentine ubriacanti. L’atipicità tecnica – è goleador principe senza essere attaccante classico – l’ha reso imprevedibile sia per gli avversari, sia per lo stesso Barcellona, la sua squadra. Al punto che la società catalana, per permettergli di esprimersi al meglio, gli ha “liberato” l’area di rigore da Eto’o e Ibrahimovic (venuti in Italia a fare le fortune di Inter e Milan) e da un altro “rapace” degli ultimi sedici metri come David Villa, prima confinato sulla fascia e poi parcheggiato addirittura in panchina.
A questo punto i paragoni sono d’obbligo. Dal punto di vista statistico, con tre Palloni d’Oro Messi si è già messo sullo stesso piano di Michel Platini. Ma i parametri più affascinanti sono quelli rappresentati da Pelè e Maradona, pietre miliari nella storia del calcio mondiale. Rispetto al brasiliano (rimasto sempre a giocare nel suo Paese, tranne l’epilogo miliardario nei Cosmos Usa), Messi ha il merito di non essersi sottratto all’esame del calcio europeo, più impegnativo e stressante. Più del suo celebre connazionale, invece, rappresenta un modello non solo tecnicamente, ma anche moralmente, per il comportamento dentro e fuori dal campo. O’Rey e il Pibe de Oro, però, hanno dalla loro le vittorie ottenute con le rispettive Nazionali. Qui il piatto di Messi è desolatamente vuoto: il suo stesso rendimento personale con la maglia biancoceleste dell’Argentina è nettamente inferiore a quello mostrato indossando la casacca blaugrana del Barcellona. Finora la sua parabola ricorda più quelle di Di Stefano e Crujff, anch’essi rimasti a secco di trionfi con le rappresentative dei loro Paesi. Quando avrà colmato anche questa lacuna – il tempo non gli manca – Messi potrà reggere senza problemi qualsiasi confronto.