«Locanda del Samaritano»! Geniale questa definizione dell’oratorio, geniale e originale. È la prima volta che mi capita di sentirla da quando sono “nato in Oratorio”. Ho cominciato a frequentarlo da quando avevo cinque anni, quelli della guerra. Ricordo un giovane salesiano, non ancora prete, che mi passava un panino perché avevo sempre fame e a casa non ce n’era per tutti. L’Oratorio l’ho sempre vissuto come un continuo della casa: era il luogo dell’amicizia, del gioco, delle recite teatrali, del cinema a prezzi scontati e anche a gratis, se eri andato a catechismo e a messa. Ne faceva fede la tesserina con il foro della presenza. Non potevi imbrogliare: la mitica macchinetta foratrice era saldamente nelle mani del catechista più osservante, rigido, per nulla incline alla misericordia: niente fori abusivi!
Da Salesiano, post concilium, la definizione si era irrobustita di nuovi elementi, che davano qualità allo spazio oratoriano. Cosi recitano le Costituzioni Salesiane al n. 40: «Don Bosco visse una tipica esperienza pastorale nel suo primo oratorio, che fu per i giovani casa che accoglie, parrocchia che evangelizza, scuola che avvia alla vita e cortile per incontrarsi con amicizia».
Locanda del Samaritano proprio non l’avevo mai sentita. Neppure dai miei amici biblisti! Sa di Vangelo, ha il respiro della parabola che, insieme a quella del figliol prodigo, definisce la vita cristiana. Cerfaux, grande conoscitore della Bibbia, aveva affermato – e non mi sembra una esagerazione la sua – che tutta la vita cristiana è nata da questa parabola, che il cardinale Dionigi ci mette dinanzi per dare linfa nuova ai nostri ambienti oratoriani.
Locanda! Ho sfogliato il vocabolario per scoprire il significato semplice della parola: locanda, modesto locale che offre la possibilità dei pasti e dell’alloggio. Da ragazzo abitavo vicino a una locanda e mi piaceva assistere all’arrivo dei carri trascinati da cavalli, guidati da contadini con baffi folti e foulards colorati al collo, che sistemavano i cavalli nella stalla, i carri in cortile e poi si mettevano a tavola, dove il fiasco di vino si esauriva in fretta e le partite a carte o alla morra non terminavano mai.
Oggi non ci sono più locande e i cavalli li trovi ai maneggi, ma il Cardinale vuole che siano gli oratori “locande”, dove non si parla tanto del locandiere, che ci vuole e sia accogliente, quanto del samaritano che trova un poveraccio per strada, la vittima di un aggressione, si ferma, vede che respira ancora e, ascoltando la voce del cuore, lava le ferite del poveretto, lo carica con delicatezza sulla sua mula e lo porta in locanda dall’oste: «Trattalo bene. Passerò poi a sistemare i conti». E l’oste lo accoglie, lo assiste fino a che il malcapitato guarisce.
Per fare un Oratorio come Dio comanda ci vuole la vittima, un samaritano, la locanda e l’oste locandiere. La vittima sono molti nostri ragazzi e ragazze, che stentano a crescere in un mondo così complesso, rapidamente cambiato, che sembra non avere tempo per i ragazzi, neppure per metterli al mondo, visto i preoccupanti cali delle nascite.
Il samaritano sono gli adulti che hanno a cuore i giovani! Dotati di passione educativa, si fermano, ascoltano i battiti del cuore di chi, giovane, vuol capire il perché o per chi vivere, ha bisogno di chi condivida la sua età, i suoi desideri, i suoi sogni. Qualcuno forse è talmente solo che pare “morto al futuro”. E i samaritani sono buoni, si fermano, offrono le prime cure e poi portano alla “locanda ospitale”, all’oratorio, dove si vive la carità educativa, l’accoglienza che non discrimina, generosa, attenta, allegra, dove l’oste locandiere medica le ferite e favorisce la guarigione perché ha un farmaco efficace, potente. Non una pozione magica ma una persona: Gesù Cristo!
Un buon samaritano che sta accanto ai ragazzi è un grande agli occhi di Dio! Noi diciamo che è un “santo”. Don Samuele commentando il Messaggio del Cardinale Dionigi, ha ricordato che «non mancano nella storia dell’Oratorio, ambrosiano in particolare, figure di santità anche grandi, ma non mancano pure piccoli esempi quotidiani di santità vissuta».
La sua pare una battuta di sapore “campanilistico”, che non vuole certamente restringere i grandi santi alla nostra Diocesi, che ne ha in quantità. Su tutti, in quest’anno, si parla di locandieri dal calibro di San Carlo, dei beati Don Gnocchi, Don Monza, poi tanti altri santi del quotidiano, che hanno dato la vita in Oratorio. Sarebbe interessante raccogliere la storia di questa buoni samaritani che non sono passati alla larga dei giovani, ma si sono immersi nel loro mondo, aiutandoli ad essere buoni cristiani e onesti cittadini, portandoli alla locanda ospitale dell’Oratorio.
Fuori e dentro Diocesi i nomi dei Samaritani che si sono fatti anche locandieri sono tanti: dal servo di Dio Attilio Giordani a extradiocesani come il beato Alberto Marvelli. I giovani, oggi, se ne aspettano altri! Non possiamo deluderli! «Locanda del Samaritano»! Geniale questa definizione dell’oratorio, geniale e originale. È la prima volta che mi capita di sentirla da quando sono “nato in Oratorio”. Ho cominciato a frequentarlo da quando avevo cinque anni, quelli della guerra. Ricordo un giovane salesiano, non ancora prete, che mi passava un panino perché avevo sempre fame e a casa non ce n’era per tutti. L’Oratorio l’ho sempre vissuto come un continuo della casa: era il luogo dell’amicizia, del gioco, delle recite teatrali, del cinema a prezzi scontati e anche a gratis, se eri andato a catechismo e a messa. Ne faceva fede la tesserina con il foro della presenza. Non potevi imbrogliare: la mitica macchinetta foratrice era saldamente nelle mani del catechista più osservante, rigido, per nulla incline alla misericordia: niente fori abusivi!Da Salesiano, post concilium, la definizione si era irrobustita di nuovi elementi, che davano qualità allo spazio oratoriano. Cosi recitano le Costituzioni Salesiane al n. 40: «Don Bosco visse una tipica esperienza pastorale nel suo primo oratorio, che fu per i giovani casa che accoglie, parrocchia che evangelizza, scuola che avvia alla vita e cortile per incontrarsi con amicizia».Locanda del Samaritano proprio non l’avevo mai sentita. Neppure dai miei amici biblisti! Sa di Vangelo, ha il respiro della parabola che, insieme a quella del figliol prodigo, definisce la vita cristiana. Cerfaux, grande conoscitore della Bibbia, aveva affermato – e non mi sembra una esagerazione la sua – che tutta la vita cristiana è nata da questa parabola, che il cardinale Dionigi ci mette dinanzi per dare linfa nuova ai nostri ambienti oratoriani.Locanda! Ho sfogliato il vocabolario per scoprire il significato semplice della parola: locanda, modesto locale che offre la possibilità dei pasti e dell’alloggio. Da ragazzo abitavo vicino a una locanda e mi piaceva assistere all’arrivo dei carri trascinati da cavalli, guidati da contadini con baffi folti e foulards colorati al collo, che sistemavano i cavalli nella stalla, i carri in cortile e poi si mettevano a tavola, dove il fiasco di vino si esauriva in fretta e le partite a carte o alla morra non terminavano mai.Oggi non ci sono più locande e i cavalli li trovi ai maneggi, ma il Cardinale vuole che siano gli oratori “locande”, dove non si parla tanto del locandiere, che ci vuole e sia accogliente, quanto del samaritano che trova un poveraccio per strada, la vittima di un aggressione, si ferma, vede che respira ancora e, ascoltando la voce del cuore, lava le ferite del poveretto, lo carica con delicatezza sulla sua mula e lo porta in locanda dall’oste: «Trattalo bene. Passerò poi a sistemare i conti». E l’oste lo accoglie, lo assiste fino a che il malcapitato guarisce.Per fare un Oratorio come Dio comanda ci vuole la vittima, un samaritano, la locanda e l’oste locandiere. La vittima sono molti nostri ragazzi e ragazze, che stentano a crescere in un mondo così complesso, rapidamente cambiato, che sembra non avere tempo per i ragazzi, neppure per metterli al mondo, visto i preoccupanti cali delle nascite.Il samaritano sono gli adulti che hanno a cuore i giovani! Dotati di passione educativa, si fermano, ascoltano i battiti del cuore di chi, giovane, vuol capire il perché o per chi vivere, ha bisogno di chi condivida la sua età, i suoi desideri, i suoi sogni. Qualcuno forse è talmente solo che pare “morto al futuro”. E i samaritani sono buoni, si fermano, offrono le prime cure e poi portano alla “locanda ospitale”, all’oratorio, dove si vive la carità educativa, l’accoglienza che non discrimina, generosa, attenta, allegra, dove l’oste locandiere medica le ferite e favorisce la guarigione perché ha un farmaco efficace, potente. Non una pozione magica ma una persona: Gesù Cristo!Un buon samaritano che sta accanto ai ragazzi è un grande agli occhi di Dio! Noi diciamo che è un “santo”. Don Samuele commentando il Messaggio del Cardinale Dionigi, ha ricordato che «non mancano nella storia dell’Oratorio, ambrosiano in particolare, figure di santità anche grandi, ma non mancano pure piccoli esempi quotidiani di santità vissuta».La sua pare una battuta di sapore “campanilistico”, che non vuole certamente restringere i grandi santi alla nostra Diocesi, che ne ha in quantità. Su tutti, in quest’anno, si parla di locandieri dal calibro di San Carlo, dei beati Don Gnocchi, Don Monza, poi tanti altri santi del quotidiano, che hanno dato la vita in Oratorio. Sarebbe interessante raccogliere la storia di questa buoni samaritani che non sono passati alla larga dei giovani, ma si sono immersi nel loro mondo, aiutandoli ad essere buoni cristiani e onesti cittadini, portandoli alla locanda ospitale dell’Oratorio.Fuori e dentro Diocesi i nomi dei Samaritani che si sono fatti anche locandieri sono tanti: dal servo di Dio Attilio Giordani a extradiocesani come il beato Alberto Marvelli. I giovani, oggi, se ne aspettano altri! Non possiamo deluderli!