Èdedicato al ruolo dell’informazione tra crisi economica, sviluppo sostenibile e sistema solidale il convegno nazionale che la Federazione italiana settimanali cattolici (Fisc), organismo che racchiude 166 testate diocesane per una tiratura complessiva superiore al milione di copie settimanali, organizza a San Miniato (Pisa) dal 12 al 14 novembre. Tra i relatori l’economista Stefano Zamagni, docente all’Università di Bologna, a cui chiediamo alcune anticipazioni a partire dal tema dell’incontro.
Qual è stato il ruolo dell’informazione nel raccontare la crisi economica e finanziaria?
Stranamente rispetto alle mie aspettative in questa vicenda l’informazione ha giocato un ruolo positivo. Tutti i giornali e le televisioni, in misura diversa ma qualificata, hanno dedicato attenzione ai fatti di cronaca, ma pure a un’analisi interpretativa del fenomeno. Questo, di per sé, è positivo, anche se bisogna riconoscere che le cause prossime della crisi sono state focalizzate molto più di quelle remote. Ma su questo secondo fronte ha dato un contributo notevole l’enciclica «Caritas in veritate», e dietro ad essa sono venuti i media.
In che senso?
Raccontando l’enciclica hanno finito per parlare, sia pure indirettamente, delle cause remote. La congiunzione di questi due fenomeni ha fatto sì che oggi anche persone che non sanno niente di economia e non hanno particolari competenze circa il mondo finanziario sappiano cosa sono i derivati, gli hedge funds, i subprime. Ecco, se gli organi d’informazione avessero operato anche prima così come hanno fatto in questi ultimi due anni, probabilmente la crisi si sarebbe potuta evitare, o quantomeno contenere.
Dunque un ruolo positivo, ma tardivo?
Se da dieci anni a questa parte i mezzi d’informazione avessero dedicato a queste tematiche l’attenzione che vi dedicano ora, sono sicuro che la crisi non sarebbe scoppiata. In questo lasso di tempo milioni di famiglie in tutto il mondo, ma specialmente in Occidente, hanno foraggiato gli speculatori con i loro risparmi. Ma questo, a sua volta, è avvenuto perché era stato fatto credere loro che c’era la possibilità di avere guadagni al di sopra del possibile, mentre i media tacevano. Ai mezzi d’informazione, però, attribuisco un ruolo non solo informativo, ma anche pedagogico: se la gente fosse stata avvertita a dovere, probabilmente si sarebbe fermata in tempo.
Secondo alcuni, nei primi tempi della crisi i media erano impreparati davanti a un fenomeno sul quale non avevano particolari competenze…
In Italia, fino alla primavera 2009, gli articoli sui giornali erano – salvo rare eccezioni – traduzioni di altri pubblicati da Wall Street Journal, New York Times, Herald Tribune, Le Monde, Financial Times ecc. Ciò vuol dire che, scoppiata la crisi, i nostri media si sono trovati impreparati. Solo in un secondo tempo i giornalisti, avendo avuto modo di studiare, documentarsi, capire i processi economici, hanno potuto scrivere con competenza. Questo dev’essere un insegnamento per il futuro: bisogna che le testate dedichino molta maggiore attenzione in termini professionali alle tematiche economico-finanziarie. Non si capisce perché vi debbano essere giornalisti iperspecializzati nello sport e non per l’economia e la finanza. Vi è, qui, una questione di responsabilità: la stampa, soprattutto italiana, ha sempre sottovalutato le problematiche economico-finanziarie. Eppure l’educazione finanziaria, oggi, è importantissima e riguarda direttamente la vita delle famiglie.
Nell’individuazione delle “cause prossime” della crisi, vi sono state distorsioni da parte dei media?
Direi di no, e ormai tali cause sono universalmente conosciute: mancanza di controlli da parte delle autorità di vigilanza; agenzie di rating pagate dalle istituzioni finanziarie che si sottoponevano al loro giudizio, e quindi non indipendenti; errore logico-matematico nel modello sulla base del quale è stata eretta quella “cattedrale” rappresentata dai derivati; comportamento dei manager e loro sistemi di retribuzione.
Sulle “cause remote”, invece, si è soffermata l’enciclica «Caritas in veritate». Alcuni commentatori vedono in essa la richiesta di un cambiamento di comportamenti come soluzione alla crisi…
Èchiaro che i comportamenti individuali vanno cambiati, ma non è questo il centro dell’enciclica, la quale invece dice che bisogna cambiare le istituzioni, quelle che Giovanni Paolo II definiva “strutture di peccato”. C’è una lettura riduzionista dell’enciclica, che la interpreta come semplice indicazione moralista. In realtà Benedetto XVI esorta a cambiare le istituzioni, a partire da quelle mondiali, cioè il Fondo monetario internazionale, la Banca mondiale e via dicendo. Bisogna modificare le regole che presiedono al funzionamento del mercato, altrimenti chi si vuol comportare in maniera retta sarà destinato a fallire. Il Papa chiude l’enciclica invocando un’autorità politica mondiale, segno che la «Caritas in veritate» non si rivolge solo al singolo, ma pure alle architetture che presiedono l’assetto sociale ed economico. Èdedicato al ruolo dell’informazione tra crisi economica, sviluppo sostenibile e sistema solidale il convegno nazionale che la Federazione italiana settimanali cattolici (Fisc), organismo che racchiude 166 testate diocesane per una tiratura complessiva superiore al milione di copie settimanali, organizza a San Miniato (Pisa) dal 12 al 14 novembre. Tra i relatori l’economista Stefano Zamagni, docente all’Università di Bologna, a cui chiediamo alcune anticipazioni a partire dal tema dell’incontro.Qual è stato il ruolo dell’informazione nel raccontare la crisi economica e finanziaria?Stranamente rispetto alle mie aspettative in questa vicenda l’informazione ha giocato un ruolo positivo. Tutti i giornali e le televisioni, in misura diversa ma qualificata, hanno dedicato attenzione ai fatti di cronaca, ma pure a un’analisi interpretativa del fenomeno. Questo, di per sé, è positivo, anche se bisogna riconoscere che le cause prossime della crisi sono state focalizzate molto più di quelle remote. Ma su questo secondo fronte ha dato un contributo notevole l’enciclica «Caritas in veritate», e dietro ad essa sono venuti i media.In che senso?Raccontando l’enciclica hanno finito per parlare, sia pure indirettamente, delle cause remote. La congiunzione di questi due fenomeni ha fatto sì che oggi anche persone che non sanno niente di economia e non hanno particolari competenze circa il mondo finanziario sappiano cosa sono i derivati, gli hedge funds, i subprime. Ecco, se gli organi d’informazione avessero operato anche prima così come hanno fatto in questi ultimi due anni, probabilmente la crisi si sarebbe potuta evitare, o quantomeno contenere.Dunque un ruolo positivo, ma tardivo?Se da dieci anni a questa parte i mezzi d’informazione avessero dedicato a queste tematiche l’attenzione che vi dedicano ora, sono sicuro che la crisi non sarebbe scoppiata. In questo lasso di tempo milioni di famiglie in tutto il mondo, ma specialmente in Occidente, hanno foraggiato gli speculatori con i loro risparmi. Ma questo, a sua volta, è avvenuto perché era stato fatto credere loro che c’era la possibilità di avere guadagni al di sopra del possibile, mentre i media tacevano. Ai mezzi d’informazione, però, attribuisco un ruolo non solo informativo, ma anche pedagogico: se la gente fosse stata avvertita a dovere, probabilmente si sarebbe fermata in tempo.Secondo alcuni, nei primi tempi della crisi i media erano impreparati davanti a un fenomeno sul quale non avevano particolari competenze…In Italia, fino alla primavera 2009, gli articoli sui giornali erano – salvo rare eccezioni – traduzioni di altri pubblicati da Wall Street Journal, New York Times, Herald Tribune, Le Monde, Financial Times ecc. Ciò vuol dire che, scoppiata la crisi, i nostri media si sono trovati impreparati. Solo in un secondo tempo i giornalisti, avendo avuto modo di studiare, documentarsi, capire i processi economici, hanno potuto scrivere con competenza. Questo dev’essere un insegnamento per il futuro: bisogna che le testate dedichino molta maggiore attenzione in termini professionali alle tematiche economico-finanziarie. Non si capisce perché vi debbano essere giornalisti iperspecializzati nello sport e non per l’economia e la finanza. Vi è, qui, una questione di responsabilità: la stampa, soprattutto italiana, ha sempre sottovalutato le problematiche economico-finanziarie. Eppure l’educazione finanziaria, oggi, è importantissima e riguarda direttamente la vita delle famiglie. Nell’individuazione delle “cause prossime” della crisi, vi sono state distorsioni da parte dei media?Direi di no, e ormai tali cause sono universalmente conosciute: mancanza di controlli da parte delle autorità di vigilanza; agenzie di rating pagate dalle istituzioni finanziarie che si sottoponevano al loro giudizio, e quindi non indipendenti; errore logico-matematico nel modello sulla base del quale è stata eretta quella “cattedrale” rappresentata dai derivati; comportamento dei manager e loro sistemi di retribuzione.Sulle “cause remote”, invece, si è soffermata l’enciclica «Caritas in veritate». Alcuni commentatori vedono in essa la richiesta di un cambiamento di comportamenti come soluzione alla crisi…Èchiaro che i comportamenti individuali vanno cambiati, ma non è questo il centro dell’enciclica, la quale invece dice che bisogna cambiare le istituzioni, quelle che Giovanni Paolo II definiva “strutture di peccato”. C’è una lettura riduzionista dell’enciclica, che la interpreta come semplice indicazione moralista. In realtà Benedetto XVI esorta a cambiare le istituzioni, a partire da quelle mondiali, cioè il Fondo monetario internazionale, la Banca mondiale e via dicendo. Bisogna modificare le regole che presiedono al funzionamento del mercato, altrimenti chi si vuol comportare in maniera retta sarà destinato a fallire. Il Papa chiude l’enciclica invocando un’autorità politica mondiale, segno che la «Caritas in veritate» non si rivolge solo al singolo, ma pure alle architetture che presiedono l’assetto sociale ed economico.