«Il rapporto con il male e con chi lo compie – e dunque anche con noi stessi, quando lo compiamo – è pervertito da questa giuliva indifferenza», annotava acutamente Claudio Magris, commentando l’apparizione in TV di un pluriomicida, che oggi i giornalisti chiamano in modo elegante “serial killer”: «Il Male – aggiungeva sempre il noto scrittore triestino – scritto con la maiuscola, esercita spesso una seduzione pacchiana, come un polpettone in tecnicolor».
Sono sedotti giovani che non accettano di essere superati in fila indiana al Metrò o di essere criticati per un parcheggio mal combinato o che usano il coltello per uno sguardo inopportuno alla propria “donna”, che nella cronaca spesso si identifica con “la compagna”, non la moglie, perché spesso sono coppie moderne che rifuggono dal matrimonio, da legami seri nel tempo. «Mi ha fatto venire i nervi», si è giustificato il violento che ha massacrato un taxista a Milano. La colpa? Grave, ha investito un cane, scappato dalle mani della sua padroncina, la quale non è stata da meno del fidanzato nel dare calci e pugni al “canicida”. «Mi ha insultato, ho reagito, ma non volevo uccidere. È stato un caso, ho chiesto scusa, non capisco perché devo andare in prigione!». Reazioni non controllate, gesti di violenza che cambiano la storia della vittima e dell’aggressore.
Come sono lontani i tempi dei cortei contro la violenza degli allievi di Capitini e di Don Milani; quelli di Gandhi che si mette a piangere per aver dato uno schiaffo a un suo allievo, lui che era il padre spirituale dei non violenti! E come è esigente il Vangelo di Gesù Cristo, che invita a non reagire allo schiaffo dato sulla guancia destra: «Tu porgigli anche l’altra; e a chi vuole portarti via la tunica, tu lascia anche il mantello». Sono frasi, scrive il cardinal Martini, che ascoltate una volta sola, non si dimenticano più: «Nessuno aveva mai parlato come quest’uomo, e i discepoli bevevano le sue parole, nelle quali troviamo risolti in maniera semplicissima i più ardui problemi dei rapporti tra gli uomini e del comportamento dell’uomo verso Dio».
Anni fa, quando ho cominciato a lavorare con i barabitt, si parlava della violenza come generata all’interno della famiglia, di cattivi rapporti con “il padre”, di tensioni legate alla vita di coppia, in casa. Oggi la violenza la si respira nel territorio, sugli schermi televisivi, allo stadio come nel pub o in discoteca, sulla strada, nel gruppo, a scuola, sul lavoro, nelle istiotuzioni e non si può più attribuire la causa solo a famiglia e insegnanti che non hanno insegnato le principali regole dello stare insieme: è avvenuto un vasto sommovimento valoriale, riferisce in prima pagina l’Osservatore Romano, realizzato nel processo di secolarizzazione, che si può sintetizzare nella frase “se Dio è morto, tutto è possibile”.
Dobbiamo far rivivere Dio nella coscienza degli adulti ma anche in quella dei nostri ragazzini, che respirano la violenza anche sui campi da gioco: «Stendilo, spaccagli la gamba a quel negro di…», urlava il papà ai bordi del campo. Il ragazzo stava giocando una partita di calcio con i suoi coetanei di quinta elementare! La sua risposta nella frase detta al “Don” dell’oratorio: «Se ai bordi del campo c’è ancora mio papà, io non gioco!». Aveva più coscienza del bene il figlio del padre.
Occorre anche avere il coraggio di fare “sciopero della TV”, quando è violenta nelle sue proposte, nelle sue interviste sui luoghi dei delitti, nell’incessante riproposizione di scene di violenza nei telegiornali, nelle fiction, nei film. Anni fa quando un vescovo coraggioso quanto saggio, monsignor Gilberto Baroni della diocesi di Reggio Emilia, aveva proposto lo sciopero della TV, ha avuto contro stampa, giornalisti e vignettisti, ma quanto opportuno sarebbe oggi questo sciopero per dare un nuovo respiro alla famiglia, alla città, ai giovani, specialmente i più deboli e fragili, che sono le prime vittime della cultura della violenza.
La riscoperta dei valori etici e morali, valori che crescono e non decadono, rende la città più vivibile. Occorre da parte dei credenti un impegno fedele, quotidiano, educativo e formativo, che superi l’individualismo e gli interessi privati, che sappia essere anima di una nuova civiltà, quella della carità e dell’accoglienza, dell’onestà e del rispetto di ogni persona. «Il rapporto con il male e con chi lo compie – e dunque anche con noi stessi, quando lo compiamo – è pervertito da questa giuliva indifferenza», annotava acutamente Claudio Magris, commentando l’apparizione in TV di un pluriomicida, che oggi i giornalisti chiamano in modo elegante “serial killer”: «Il Male – aggiungeva sempre il noto scrittore triestino – scritto con la maiuscola, esercita spesso una seduzione pacchiana, come un polpettone in tecnicolor».Sono sedotti giovani che non accettano di essere superati in fila indiana al Metrò o di essere criticati per un parcheggio mal combinato o che usano il coltello per uno sguardo inopportuno alla propria “donna”, che nella cronaca spesso si identifica con “la compagna”, non la moglie, perché spesso sono coppie moderne che rifuggono dal matrimonio, da legami seri nel tempo. «Mi ha fatto venire i nervi», si è giustificato il violento che ha massacrato un taxista a Milano. La colpa? Grave, ha investito un cane, scappato dalle mani della sua padroncina, la quale non è stata da meno del fidanzato nel dare calci e pugni al “canicida”. «Mi ha insultato, ho reagito, ma non volevo uccidere. È stato un caso, ho chiesto scusa, non capisco perché devo andare in prigione!». Reazioni non controllate, gesti di violenza che cambiano la storia della vittima e dell’aggressore.Come sono lontani i tempi dei cortei contro la violenza degli allievi di Capitini e di Don Milani; quelli di Gandhi che si mette a piangere per aver dato uno schiaffo a un suo allievo, lui che era il padre spirituale dei non violenti! E come è esigente il Vangelo di Gesù Cristo, che invita a non reagire allo schiaffo dato sulla guancia destra: «Tu porgigli anche l’altra; e a chi vuole portarti via la tunica, tu lascia anche il mantello». Sono frasi, scrive il cardinal Martini, che ascoltate una volta sola, non si dimenticano più: «Nessuno aveva mai parlato come quest’uomo, e i discepoli bevevano le sue parole, nelle quali troviamo risolti in maniera semplicissima i più ardui problemi dei rapporti tra gli uomini e del comportamento dell’uomo verso Dio».Anni fa, quando ho cominciato a lavorare con i barabitt, si parlava della violenza come generata all’interno della famiglia, di cattivi rapporti con “il padre”, di tensioni legate alla vita di coppia, in casa. Oggi la violenza la si respira nel territorio, sugli schermi televisivi, allo stadio come nel pub o in discoteca, sulla strada, nel gruppo, a scuola, sul lavoro, nelle istiotuzioni e non si può più attribuire la causa solo a famiglia e insegnanti che non hanno insegnato le principali regole dello stare insieme: è avvenuto un vasto sommovimento valoriale, riferisce in prima pagina l’Osservatore Romano, realizzato nel processo di secolarizzazione, che si può sintetizzare nella frase “se Dio è morto, tutto è possibile”.Dobbiamo far rivivere Dio nella coscienza degli adulti ma anche in quella dei nostri ragazzini, che respirano la violenza anche sui campi da gioco: «Stendilo, spaccagli la gamba a quel negro di…», urlava il papà ai bordi del campo. Il ragazzo stava giocando una partita di calcio con i suoi coetanei di quinta elementare! La sua risposta nella frase detta al “Don” dell’oratorio: «Se ai bordi del campo c’è ancora mio papà, io non gioco!». Aveva più coscienza del bene il figlio del padre.Occorre anche avere il coraggio di fare “sciopero della TV”, quando è violenta nelle sue proposte, nelle sue interviste sui luoghi dei delitti, nell’incessante riproposizione di scene di violenza nei telegiornali, nelle fiction, nei film. Anni fa quando un vescovo coraggioso quanto saggio, monsignor Gilberto Baroni della diocesi di Reggio Emilia, aveva proposto lo sciopero della TV, ha avuto contro stampa, giornalisti e vignettisti, ma quanto opportuno sarebbe oggi questo sciopero per dare un nuovo respiro alla famiglia, alla città, ai giovani, specialmente i più deboli e fragili, che sono le prime vittime della cultura della violenza.La riscoperta dei valori etici e morali, valori che crescono e non decadono, rende la città più vivibile. Occorre da parte dei credenti un impegno fedele, quotidiano, educativo e formativo, che superi l’individualismo e gli interessi privati, che sappia essere anima di una nuova civiltà, quella della carità e dell’accoglienza, dell’onestà e del rispetto di ogni persona.