Una giornata di silenzio «per protestare contro il disegno di legge Alfano che limita pesantemente la libertà di stampa e prevede pesanti sanzioni contro editori e giornalisti che danno conto di fatti di cronaca giudiziaria e indagini investigative». Sono queste le motivazioni addotte dalla Fnsi (Federazione nazionale stampa italiana) per la “Giornata del silenzio dell’informazione” in programma venerdì 9 luglio. Della situazione del giornalismo in Italia e degli sviluppi prevedibili con la nuova legislazione in discussione al Parlamento, parla Andrea Melodia, presidente dell’Ucsi (Unione cattolica stampa italiana).
La “Giornata del silenzio dell’informazione” offre un’occasione che potrebbe essere sfruttata per riflettere e approfondire le tematiche relative alla libertà dell’informazione in Italia?
Non so se una giornata di silenzio possa essere davvero utile, però è certo che c’è motivo per essere preoccupati. Non si tratta di difendere la categoria dei giornalisti, che certo ha le sue responsabilità, ma quando il potere politico attacca indistintamente la stampa c’è da temere per la libertà di informazione, che oggi c’è ma che si potrebbe mettere in discussione. Ci sono legittimi e seri problemi di tutela della privacy, che possono essere risolti in molti modi, ma porli sullo stesso piano della libertà di informazione che è un caposaldo della democrazia mi pare una insensatezza.
In che modo si può trovare un equilibrio tra le parti in causa: tutela della privacy, responsabilità dei giornalisti e diritto all’informazione?
Ci possono essere modi diversi di tutelare la privacy ed evitare abusi nelle pubblicazioni. Sono implicate nel problema due categorie, entrambe rilevanti nell’equilibrio dei poteri ed entrambe sotto attacco, magistrati e giornalisti. Si devono definire meglio obblighi e responsabilità di entrambe le categorie su questo tema specifico, senza esprimere insofferenze o desideri di rivalsa che sembrano nascere da problemi del tutto diversi. Vorrei che si fosse discusso serenamente, studiando le norme e le prassi di altri Paesi, anziché accanirsi a inventare prescrizioni che possono rischiare sia di favorire la delinquenza, come i limiti forzosi alle intercettazioni, sia di ostacolare il diritto dei cittadini a essere informati: dico ostacolare perché credo che qualche norma verrebbe presto cancellata per incostituzionalità, ma questo al termine di un percorso confuso e inutilmente conflittuale. Per quanto riguarda i giornalisti, una strada prioritaria mi pare quella della riforma della legge sull’Ordine dei giornalisti, che oggi crea troppi ostacoli nell’applicazione delle norme deontologiche.
L’Ucsi è impegnata nella promozione di un Comitato di Mediaetica e ha redatto un Manifesto per un’etica dell’informazione. Come è possibile dare concreta attuazione ai Codici deontologici e superare alcuni limiti a essi connaturati?
Noi siamo i primi a denunciare le carenze di etica nell’informazione. Ma l’etica, prima ancora che con le norme, si difende con la formazione e con le pratiche virtuose. Quando poi non si rispetta la deontologia devono intervenire, come dicevo, gli organi di autogoverno dei giornalisti, che oggi non funzionano decentemente perché non si riesce a far passare una legge di riforma che sarebbe molto più utile del decreto anti-intercettazioni. La proposta di un Comitato di Mediaetica, che sarebbe un organo consultivo di alto livello istituzionale, ha suscitato molto interesse, ma purtroppo nessuna iniziativa concreta. Il Manifesto, scritto dal professor Adriano Fabris e fatto proprio dall’Ucsi, è un decalogo di corretti comportamenti per giornalisti e comunicatori; fa parte delle iniziative culturali e formative necessarie per migliorare la conoscenza di questi problemi nella categoria.
Di fronte a questo scenario, quale contributo può offrire il giornalismo cattolico?
Il giornalismo cattolico ha i numeri per offrire un surplus di onestà intellettuale e di competenza etica, senza pretendere di esserne detentore unico. La rete della stampa e delle radiotelevisioni cattoliche non deve sentirsi estranea a questi problemi, perché si è visto che non basta comportarsi bene per non essere colpiti. Quindi dobbiamo pretendere che tutta la categoria giornalistica venga raggiunta da un fremito di consapevolezza e responsabilità; e l’imposizione di quello che moltissimi colleghi sentono come un bavaglio, anche se fosse pieno di buchi, non mi pare vada in questa direzione. Una giornata di silenzio «per protestare contro il disegno di legge Alfano che limita pesantemente la libertà di stampa e prevede pesanti sanzioni contro editori e giornalisti che danno conto di fatti di cronaca giudiziaria e indagini investigative». Sono queste le motivazioni addotte dalla Fnsi (Federazione nazionale stampa italiana) per la “Giornata del silenzio dell’informazione” in programma venerdì 9 luglio. Della situazione del giornalismo in Italia e degli sviluppi prevedibili con la nuova legislazione in discussione al Parlamento, parla Andrea Melodia, presidente dell’Ucsi (Unione cattolica stampa italiana).La “Giornata del silenzio dell’informazione” offre un’occasione che potrebbe essere sfruttata per riflettere e approfondire le tematiche relative alla libertà dell’informazione in Italia?Non so se una giornata di silenzio possa essere davvero utile, però è certo che c’è motivo per essere preoccupati. Non si tratta di difendere la categoria dei giornalisti, che certo ha le sue responsabilità, ma quando il potere politico attacca indistintamente la stampa c’è da temere per la libertà di informazione, che oggi c’è ma che si potrebbe mettere in discussione. Ci sono legittimi e seri problemi di tutela della privacy, che possono essere risolti in molti modi, ma porli sullo stesso piano della libertà di informazione che è un caposaldo della democrazia mi pare una insensatezza.In che modo si può trovare un equilibrio tra le parti in causa: tutela della privacy, responsabilità dei giornalisti e diritto all’informazione?Ci possono essere modi diversi di tutelare la privacy ed evitare abusi nelle pubblicazioni. Sono implicate nel problema due categorie, entrambe rilevanti nell’equilibrio dei poteri ed entrambe sotto attacco, magistrati e giornalisti. Si devono definire meglio obblighi e responsabilità di entrambe le categorie su questo tema specifico, senza esprimere insofferenze o desideri di rivalsa che sembrano nascere da problemi del tutto diversi. Vorrei che si fosse discusso serenamente, studiando le norme e le prassi di altri Paesi, anziché accanirsi a inventare prescrizioni che possono rischiare sia di favorire la delinquenza, come i limiti forzosi alle intercettazioni, sia di ostacolare il diritto dei cittadini a essere informati: dico ostacolare perché credo che qualche norma verrebbe presto cancellata per incostituzionalità, ma questo al termine di un percorso confuso e inutilmente conflittuale. Per quanto riguarda i giornalisti, una strada prioritaria mi pare quella della riforma della legge sull’Ordine dei giornalisti, che oggi crea troppi ostacoli nell’applicazione delle norme deontologiche.L’Ucsi è impegnata nella promozione di un Comitato di Mediaetica e ha redatto un Manifesto per un’etica dell’informazione. Come è possibile dare concreta attuazione ai Codici deontologici e superare alcuni limiti a essi connaturati?Noi siamo i primi a denunciare le carenze di etica nell’informazione. Ma l’etica, prima ancora che con le norme, si difende con la formazione e con le pratiche virtuose. Quando poi non si rispetta la deontologia devono intervenire, come dicevo, gli organi di autogoverno dei giornalisti, che oggi non funzionano decentemente perché non si riesce a far passare una legge di riforma che sarebbe molto più utile del decreto anti-intercettazioni. La proposta di un Comitato di Mediaetica, che sarebbe un organo consultivo di alto livello istituzionale, ha suscitato molto interesse, ma purtroppo nessuna iniziativa concreta. Il Manifesto, scritto dal professor Adriano Fabris e fatto proprio dall’Ucsi, è un decalogo di corretti comportamenti per giornalisti e comunicatori; fa parte delle iniziative culturali e formative necessarie per migliorare la conoscenza di questi problemi nella categoria.Di fronte a questo scenario, quale contributo può offrire il giornalismo cattolico?Il giornalismo cattolico ha i numeri per offrire un surplus di onestà intellettuale e di competenza etica, senza pretendere di esserne detentore unico. La rete della stampa e delle radiotelevisioni cattoliche non deve sentirsi estranea a questi problemi, perché si è visto che non basta comportarsi bene per non essere colpiti. Quindi dobbiamo pretendere che tutta la categoria giornalistica venga raggiunta da un fremito di consapevolezza e responsabilità; e l’imposizione di quello che moltissimi colleghi sentono come un bavaglio, anche se fosse pieno di buchi, non mi pare vada in questa direzione.