Una Chiesa on line e off line. Questo il compito affidato da Benedetto XVI ai cristiani, tutti. Una presenza qualificata in entrambi i mondi o ambienti: nello spazio fisico e non fisico, vale a dire nel mondo consueto e in quello digitale, per abitare anche questo nuovo «universo con un cuore da credente, che contribuisca a dare un’anima all’ininterrotto flusso comunicativo».
Perché? È nella natura di questa comunità millenaria, fondata da Cristo, porre la sua barca nel mare aperto, talvolta pure incurante dei marosi e delle tempeste. Ed è l’atto di fiducia di un Papa – non giovane nell’età, ma giovanissimo nella missione – che esorta senza mezzi termini a cogliere come grazia questo «passaggio epocale». In fondo questo fluido e immenso hub è la terra stessa. La Chiesa è venuta per stare dentro il mondo e percorrerlo in lungo e largo.
Che questo nostro globo conosca ora «un enorme allargamento» attraverso «le frontiere della comunicazione» non può che corrispondere alla vocazione missionaria della Chiesa. Anzi, da sempre il cattolicesimo si è via via strutturato come una organica rete di persone, di credenti, di comunità, di siti di cuori religiosi, dove due o tre o più persone stanno insieme per essere testimoni positivi con la preghiera, la carità, con la condivisione del bene.
Di fatto attraverso il digitale, che è poi una straordinaria tecnica per eliminare distanze e tempi nelle relazioni comunicative, si realizza una forma di cattolicità, di universalità, di grande piazza di Gerusalemme, dove gli uomini, pur parlando diverse lingue, si potevano comprendere. Ma come e perché? Semplicemente perché oltre il diaframma della molteplicità delle lingue vedevano e intravedevano un messaggio, un volto. Quello di Cristo. Eh sì! Il Papa nell’udienza ai “testimoni digitali” ha chiesto di «tornare ai volti». Anzi, a quel Volto nel quale rifulge il volto di ogni uomo.
Questo il punto. La Rete dev’essere possibilità di incontro. Per questa ragione il Santo Padre auspica che mantenga la sua vocazione a una apertura ugualitaria e pluralista. Non vive di sogni, però, Benedetto XVI. Sa che già è in corso quello che viene identificato come il fenomeno del digital divide, che esclude e non solo include. Come gli è noto il rischio dell’«omologazione e del controllo» per diffondere un pensiero dominante, unico, che in altre occasioni ha chiamato dittatura del conformismo e qui di «relativismo intellettuale e morale».
Eppure quando mai i rischi diventano per un cristiano un impedimento per entrare in un territorio, in una città, in un continente nuovo come il digitale? Dove vi è ambivalenza, probabilità d’intraprendere strade sbagliate vi sono per lo meno altrettante possibilità di vincere la sfida del bene. Anche e appunto in Internet. La grande Rete può essere sorella e sorellastra, prossimo e nemico. Può rendere più umano il nostro habitat: i «media possono diventare fattori di umanizzazione» e di disumanizzazione. Dipende da noi. Pure da noi cristiani. In fondo ogni invenzione è una conquista, un arricchimento. Non una perdita, non un pericolo. La Chiesa ha avuto il coraggio di abbracciare l’invenzione della stampa, poi del telegrafo, della radio e della televisione. Giovanni Paolo II ci ha insegnato praticamente, con il suo corpo stesso, a stare dentro i media, ad essere testimoni appassionati dell’uomo, perché innamorati e affascinati dell’Uomo-Dio. Benedetto XVI invita alla stessa passione in nome dell’uomo. Una Chiesa on line e off line. Questo il compito affidato da Benedetto XVI ai cristiani, tutti. Una presenza qualificata in entrambi i mondi o ambienti: nello spazio fisico e non fisico, vale a dire nel mondo consueto e in quello digitale, per abitare anche questo nuovo «universo con un cuore da credente, che contribuisca a dare un’anima all’ininterrotto flusso comunicativo».Perché? È nella natura di questa comunità millenaria, fondata da Cristo, porre la sua barca nel mare aperto, talvolta pure incurante dei marosi e delle tempeste. Ed è l’atto di fiducia di un Papa – non giovane nell’età, ma giovanissimo nella missione – che esorta senza mezzi termini a cogliere come grazia questo «passaggio epocale». In fondo questo fluido e immenso hub è la terra stessa. La Chiesa è venuta per stare dentro il mondo e percorrerlo in lungo e largo.Che questo nostro globo conosca ora «un enorme allargamento» attraverso «le frontiere della comunicazione» non può che corrispondere alla vocazione missionaria della Chiesa. Anzi, da sempre il cattolicesimo si è via via strutturato come una organica rete di persone, di credenti, di comunità, di siti di cuori religiosi, dove due o tre o più persone stanno insieme per essere testimoni positivi con la preghiera, la carità, con la condivisione del bene.Di fatto attraverso il digitale, che è poi una straordinaria tecnica per eliminare distanze e tempi nelle relazioni comunicative, si realizza una forma di cattolicità, di universalità, di grande piazza di Gerusalemme, dove gli uomini, pur parlando diverse lingue, si potevano comprendere. Ma come e perché? Semplicemente perché oltre il diaframma della molteplicità delle lingue vedevano e intravedevano un messaggio, un volto. Quello di Cristo. Eh sì! Il Papa nell’udienza ai “testimoni digitali” ha chiesto di «tornare ai volti». Anzi, a quel Volto nel quale rifulge il volto di ogni uomo.Questo il punto. La Rete dev’essere possibilità di incontro. Per questa ragione il Santo Padre auspica che mantenga la sua vocazione a una apertura ugualitaria e pluralista. Non vive di sogni, però, Benedetto XVI. Sa che già è in corso quello che viene identificato come il fenomeno del digital divide, che esclude e non solo include. Come gli è noto il rischio dell’«omologazione e del controllo» per diffondere un pensiero dominante, unico, che in altre occasioni ha chiamato dittatura del conformismo e qui di «relativismo intellettuale e morale».Eppure quando mai i rischi diventano per un cristiano un impedimento per entrare in un territorio, in una città, in un continente nuovo come il digitale? Dove vi è ambivalenza, probabilità d’intraprendere strade sbagliate vi sono per lo meno altrettante possibilità di vincere la sfida del bene. Anche e appunto in Internet. La grande Rete può essere sorella e sorellastra, prossimo e nemico. Può rendere più umano il nostro habitat: i «media possono diventare fattori di umanizzazione» e di disumanizzazione. Dipende da noi. Pure da noi cristiani. In fondo ogni invenzione è una conquista, un arricchimento. Non una perdita, non un pericolo. La Chiesa ha avuto il coraggio di abbracciare l’invenzione della stampa, poi del telegrafo, della radio e della televisione. Giovanni Paolo II ci ha insegnato praticamente, con il suo corpo stesso, a stare dentro i media, ad essere testimoni appassionati dell’uomo, perché innamorati e affascinati dell’Uomo-Dio. Benedetto XVI invita alla stessa passione in nome dell’uomo.
Comunicazione
“Testimoni digitali” in nome dell’uomo
Il convegno nazionale svoltosi nei giorni scorsi a Roma ha ribadito anche attraverso le parole del Papa l'impegno della Chiesa a "stare" nella Rete con realismo
di Bruno CESCON Redazione
27 Aprile 2010