07/05/2008
di Domenico POMPILI
Direttore dell’Ufficio nazionale
per le comunicazioni sociali della Cei
“Lo sguardo quotidiano” non è solo il titolo del Convegno (programma) nazionale dei direttori e dei collaboratori degli uffici diocesani delle comunicazioni sociali (8-10 maggio), ma pure una metafora avvincente che evoca un problema o, per meglio dire, una sfida. E cioè: come accorciare la distanza tra i media e la realtà? L’impressione diffusa infatti è che non solo i giornali, ma anche la Tv e la radio rischino spesso di parlarsi addosso. Col risultato di sommergere l’elementare verità delle cose e di rincorrere pensieri e diagnosi che spesso nascono e muoiono all’interno di ambienti asfittici o ormai privi di idee. Cloni di se stessi, prigionieri talvolta degli stessi volti e delle stesse performances.
A partire da questa persuasione sempre più condivisa, si vorrebbe tentare di descrivere una serie di traguardi intermedi che possano riscattare la comunicazione sociale – ivi compresa quella ecclesiale – da quel virus dell’autoreferenzialità che è l’esatto contrario della comunicazione. Da questo punto di vista l’appuntamento di Milano mi pare faccia già intravedere – stando semplicemente alla scansione tematica delle giornate e alle tutt’altro che trascurabili presenze – almeno tre mete da guadagnare insieme.
La prima è quella di fare del ‘quotidiano’ che è di sicuro tra i mezzi più tradizionali il caso serio di una comunicazione che è chiamata ad innovarsi senza perdere il suo carattere di prossimità. L’incertezza principale a tal riguardo è quella di prevedere come di fatto evolverà la situazione. Tutti scommettono sul fatto che il futuro della stampa passi per internet, ma questo significherà necessariamente la fine del supporto cartaceo, così come profetizzato da autorevoli guru dell’informatica, a cominciare dal mitico Bill Gates? E in ogni caso quali sono le dinamiche che l’ingresso nel mondo del web imporrà a lettori e giornalisti?
Di sicuro, anche guardando a quelli che sono i primi tentativi di giornali ‘on line’ si dovrà sempre di più fare i conti con la velocità, l’interattività, insomma la multimedialità. Il cybergiornalista dovrà sapersi muovere con disinvoltura tra testo scritto, immagine e suono per comporre l’articolo. E il lettore sarà chiamato a cliccare piuttosto che a sfogliare il giornale.
La seconda questione è non lasciarsi ubriacare dai cambiamenti tecnologici, ma riuscire anzitutto ad investire su quel singolare know how che è l’insieme delle persone come tali. Da questo punto di vista i giornali hanno una ‘potenza grigia’ molto più forte di qualsiasi altro mezzo. Hanno cioè in dote ancor oggi una capacità di analisi e di interpretazione che – se fondata sui fatti – diventa essenziale.
In un mondo complesso, nel quale avanzano ‘dati’ e ‘informazioni’, è fondamentale contare su persone preparate, capaci di spiegare e dare senso alle questioni intricate. Èquesto un punto di forza che non va disperso. Basterebbe pensare a quanto ‘Avvenire’ in questi anni è riuscito a rappresentare nel panorama del nostro Paese quando si trattava di affrontare questioni legate alla bioetica o magari a scottanti scenari internazionali.
L’ultima questione attiene al carattere non episodico dell’impegno ecclesiale nel campo dei media. Non è da oggi che la riflessione della comunità cristiana si lascia mettere in questione dai cambi tecnologici e dalle sfide dei nuovi linguaggi. Anzi è connaturale alla Chiesa italiana una singolare qualità che è l’estrema adattabilità a qualsiasi lingua e contesto culturale, pur di comunicare ciò che le sta a cuore.
Da questo punto di vista la più recente stagione che idealmente si fa partire dal Convegno di Palermo per approdare attraverso ‘Parabole mediatiche’ ai nostri giorni, ci fa persuasi di una scelta che non è circoscritta nel tempo.
Lo conferma la stessa presenza del card. Bagnasco che aprirà i lavori al Crowne Plaza di S. Donato Milanese, con uno sguardo rivolto “a pagine scritte, pagine da scrivere”. Non c’era forse modo migliore per dare ad intendere che “lo sguardo quotidiano” si protende in un “necessario traguardo” che sempre ci sta davanti: ricominciare daccapo ogni volta, senza sottovalutare il molto che è stato fatto, ma sapendo che l’incalzare dei processi mediatici non dà sosta, così come l’urgenza di una evangelizzazione non dà pace.