«Abbiamo paura d’incontrarci con noi stessi, temiamo di sentire che il nostro silenzio è vacuità, e non ricchezza. Ma due persone che si amano non sempre hanno bisogno di parlare, anzi. È proprio nel silenzio che si comunicano sentimenti, emozioni e sensazioni. Questo vale anche con Dio». È sul valore del silenzio che pone l’accento monsignor Claudio Maria Celli, presidente del Pontificio Consiglio delle comunicazioni sociali, in vista della XLVI Giornata mondiale delle comunicazioni sociali.
In silenzio, per capire ciò che vale
La comunicazione, secondo monsignor Celli, spesso è «ostacolata dall’impostazione del contesto comunicativo, costretto nella griglia domanda/risposta: a volte facciamo fatica a trovare una risposta, altre siamo sommersi da risposte a domande che non ci poniamo. Così come siamo sommersi da una valanga di messaggi e informazioni». In quest’ottica, spiega, «dimentichiamo il silenzio. Dobbiamo, invece, abituarci al discernimento: serve a capire ciò che realmente vale, e a trovare momenti per scoprire il senso delle cose. Il silenzio non è la parte negativa della comunicazione, ne è un momento non solo integrante ma necessario. Le parole acquisiscono spessore solo se viene dato valore al silenzio».
Dire “parole che pesano”
Con i Social Network e Internet, osserva ancora monsignor Celli, «pensiamo di “esserci” solo quando mandiamo messaggi e siamo connessi. Invece servono contenuti che diano autenticità alle parole, non forme. E non dobbiamo dimenticare che, quando comunichiamo, anche nella Rete, comunichiamo noi stessi». «Non è nella valanga delle parole che dite, che risiede la ricchezza di quello che state trasmettendo», spiega l’arcivescovo rivolgendosi agli operatori della comunicazione. E aggiunge: «Solo la ricerca della verità eleva la dignità dell’uomo. Cercate quindi di pronunziare e scrivere parole che pesano. E non dimenticate che la comunicazione è da uomo a uomo, sempre. Non producete solo parole, ma comunicate idee e pensieri rivolti al cuore e all’intelligenza di un altro uomo».