In un ampio servizio dedicato all’8×1000 in cui si confondono ancora Vaticano e Conferenza episcopale italiana (Cei) e in cui si raccontano verità parziali o strumentali (Avvenire ne ha denunciato e documentato imprecisioni, luoghi comuni e incompletezze), il settimanale L’Espresso in edicola dai giorni scorsi ha dedicato un box alle “Sante gazzette”. In poche righe si narra, prendendo le mosse dal libro in uscita I senza Dio, citando in questo caso il capitolo “Come mungere lo Stato”, dei contributi all’editoria destinati ad Avvenire, a Famiglia Cristiana e ai settimanali diocesani, mettendoli tutti insieme in una «lista delle gazzette di ispirazione religiosa» che secondo L’Espresso «sarebbero generosamente sovvenzionate dallo Stato».
Non dice nulla, invece, L’Espresso, della legge del 1990 che stabilisce i contributi all’editoria, né dei principi in base ai quali tale legge e le precedenti sono state istituite. Non una parola per spiegare il pluralismo informativo e neppure per ragionare di libertà di informazione o di democrazia informativa. Nulla di nulla dell’articolo 21 della Costituzione italiana, né del recente intervento del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che ha chiesto al Governo di rivedere i tagli all’editoria, accennando al rischio di «mortificazione del pluralismo dell’informazione» nel nostro Paese. Solo fango su «una lunga lista» che, sempre secondo L’Espresso, sarebbe «pure divertente da scorrere, infarcita com’è di testate improbabili».
È professionalmente sconcertante leggere toni così offensivi e basati su pregiudizi duri a morire. Certo risulta difficile per chi non abita il territorio italiano rendersi conto di ciò che si muove nel nostro Paese. È probabilmente troppo impegnativo, per chi non vuol vedere, tentare di ricordare la storia recente e meno recente d’Italia, ricca com’è di opere che vengono spesso dal movimento cattolico. Quella dei settimanali cattolici locali é una grande esperienza storica che ha avuto il merito di dare voce ai senza voce. Queste testate non sono quindi «gazzette di ispirazione religiosa», ma veri e propri giornali locali (per diffusione) di informazione generale
Basterebbe svolgere piccoli sondaggi nei vari territori dal nord al sud dell’Italia per scoprire una ricchezza reale, spesso ignorata dalla grande stampa e dai network nazionali, ma molto vicina alla gente. Quella stessa gente che ogni settimana si ritrova sulle pagine dei nostri giornali dai nomi niente affatto «improbabili», ma che richiamano gli anni di fine Ottocento quando i cattolici, fuori dalla politica attiva, diedero vita a infinite opere di cui ancora oggi godiamo gli effetti benefici.
Ecco quindi i nomi delle testate come L’Azione, Il Popolo, L’Araldo, La Difesa, La Vita, solo per citarne alcune che possono risultare “improbabili” per chi non ha camminato nel tempo sulle strade del nostro Paese e svolge la professione di giornalista chiuso in redazione e ancor più chiuso nell’ideologia. Sono giornali ai quali i lettori da decenni sono abbonati o ogni settimana li acquistano in edicola. Un milione di copie, quattro milioni di lettori, forse danno fastidio a qualcuno, ma dicono di un radicamento sul territorio che può far sorgere parecchie invidie e far nascere disinformazione.
In quanto ai contributi, si può aggiungere che i periodici diocesani, ma non solo loro, fino all’anno di competenza 2009, hanno percepito 20 centesimi a copia stampata, in forza del comma 3 dell’articolo 3 della legge 250 del 1990. Nel complesso si tratta di 3,7 milioni di euro, per circa una settantina di testate sulle 189 che aderiscono alla Fisc, la Federazione italiana che dal 1966 le raggruppa. In base a una legge, quindi, e non come regalia per favori non ben identificati, come vuol far credere il box dell’Espresso.
In ultimo verrebbe da domandarsi se per le copie dell’Espresso spedite via Poste italiane fino al 31 marzo 2010 l’editore di quel settimanale abbia pagato la tariffa riservata ai periodici oppure l’intero importo ordinario. Nel primo caso è bene ricordare che lo Stato ha integrato per anni, con soldi dei cittadini, la differenza fra le due tariffe, anche per le spedizioni dell’Espresso. Si tratta di contributi indiretti, ma sempre contributi statali sono.