«I cattolici devono essere in prima fila per fedeltà al Vangelo e all’uomo. Devono agire da lievito per formare le coscienze e lasciar esprimere nei fatti le novità liberanti della fede». Durante il Master di aggiornamento della Federazione italiana settimanali cattolici (Fisc) – dedicato a don Alfio Inserra che ne fu l’ideatore e sostenitore – i giornalisti hanno incontrato don Francesco Fiorino, direttore del quindicinale Condividere della diocesi di Mazara Del Vallo. L’incontro è avvenuto nell’agriturismo “Al ciliegio” di Salemi (Tp), uno dei cinque beni confiscati alla mafia e affidato alla fondazione “San Vito onlus”, cui don Francesco è presidente. Per il sacerdote «il ruolo della stampa cattolica è fondamentale per far emergere il positivo e far vedere che è possibile il cambiamento». Don Francesco da quasi dieci anni è impegnato nella gestione di terreni, case, proprietà, confiscati alla mafia e diventati centri d’accoglienza, colonie, abitazioni per persone in difficoltà.
Non eroismo, dignità
«Non bisogna essere eroe per fare certe cose – assicura -, è la dignità di battezzato che ce lo chiede. Sono i doni che ci sono stati dati, e dobbiamo lasciarci trasformare dalle esigenze del territorio in cui siamo chiamati a vivere». In questa logica, «il prete è chiamato a stare dove esiste una mentalità antievangelica, una mentalità di morte», e a ritornare «all’esercizio più religioso dopo la preghiera, l’impegno per il bene comune».
Un’eredità da non vanificare
Un impegno per il bene comune condiviso anche da Francesco Zanotti, presidente della Fisc, che ha invitato i settimanali, e la stampa cattolica in generale, a «non vanificare l’eredità lasciata da tutte quelle persone che si sono battute e hanno dato la vita per dimostrare che una terra come la Sicilia e un Paese come l’Italia hanno la capacità di andare “oltre le mafie”». «Non sono morti invano. E ora – ha rimarcato il presidente Fisc – è nostra responsabilità non dimenticarlo e diffondere un messaggio di speranza, fatto di una quotidianità come quella che abbiamo vissuto in questi giorni, che ci ha permesso di entrare in contatto con le opere di persone che non si piegano alle logiche di un potere occulto che a volte sembra invincibile».
Formare, vigilare, denunciare e progettare
Secondo Zanotti, è necessario «creare una cultura antimafia tramite un percorso che si può proporre a tutti, in particolare ai giovani. Perché è soprattutto a loro che dobbiamo far capire che un futuro è possibile, come nel caso delle belle esperienze realizzate anche grazie ai beni confiscati alla mafia». In questo senso, un buon giornalista deve «formare, vigilare, denunciare e progettare». «Importante – ha proseguito – è anche raccontare l’accoglienza, il calore, l’affetto e le tante “voci fuori dal coro” che sono presenti in Sicilia e nel nostro Paese. Realtà che dimostrano che non solo è possibile una Sicilia oltre le mafie, ma tutta una nazione può andare oltre».
Forti, ma non invincibili
«Le mafie sono sì forti, e lo testimoniano le tante inchieste in corso, ma c’è ormai una forte coscienza e tante iniziative che contribuiscono a sconfiggere il consenso di cui esse godono, e cioè la paura, la rassegnazione e l’indifferenza». Ne è convinto Davide Pati, dell’associazione Libera, che ha accompagnato i partecipanti al Master nel luogo dell’attentato in cui il 23 maggio 1992 persero la vita Giovanni Falcone, sua moglie e tre agenti della scorta. «Il contributo delle 45 diocesi che gestiscono i beni confiscati alla mafia – ha ammesso Pati – rafforza il percorso educativo alla legalità ma anche il ruolo delle diocesi, chiamate a testimoniare l’incompatibilità Vangelo-mafia».
Un ruolo importante
«Si deve seguire con attenzione questo “fenomeno” e avere la forza di denunciarlo. I settimanali cattolici, avendo il privilegio di essere radicati nel territorio, possono fare molto in questo senso». Lo afferma don Claudio Tracanna, direttore di Vola, quindicinale della diocesi dell’Aquila, raccontando che, in seguito al sisma del 2009, il territorio aquilano ha subito numerose infiltrazioni mafiose. Anche secondo Carlo Cammoranesi, direttore de L’Azione di Fabriano, nella lotta alla mafia i giornali diocesani «giocano un ruolo importante», dato che «veicolano i tanti messaggi che arrivano dal territorio». «Parlare di mafia però – ha precisato – non può limitarsi esclusivamente a un insieme di parole. Si deve avere il coraggio di sostenere le proprie idee anche a costo di sembrare impopolari. Solo così si può creare una mentalità nuova che tutelerà realmente le persone».