Il fiume di parole dei media è fatto di “supertestimoni” che sono semplici passanti. Di “giornate storiche” che però hanno cadenza quotidiana. Di “inchieste” realizzate in mezzo pomeriggio. Viene da chiedersi se la *parola* ha perso valore. Sono partiti da questo presupposto l’arcivescovo di Milano, Angelo Scola, e il direttore de La stampa, Mario Calabresi, per dialogare stimolati da Alessandra Sardoni, giornalista televisiva de La7.
«Per un giornalista, riflettere sulla parola è un po’ come interrogarsi sull’aria: pare un tema scontato», ha esordito don Davide Milani, direttore dell’Ufficio comunicazioni diocesano che ogni anno organizza l’incontro tra l’arcivescovo di Milano e i giornalisti nella ricorrenza del loro patrono, san Francesco di Sales. «Ma è un ragionamento necessario – ha proseguito -, oggi che si usano sempre più parole, forse a causa della moltiplicazione dei canali di comunicazione e della conseguente necessità di riempirli». Parole che, ha aggiunto pensando alla strage nella redazione di Charlie Hebdo, «qualcuno ha anche utilizzato come scusa per uccidere».
Reduce dall’intensa maratona tv necessaria per raccontare l’elezione del Presidente della Repubblica ed esperta di politica, Sardoni è convinta che «l’aspetto negativo della comunicazione appare quando le parole utilizzate sono tante, ma svuotate del loro significato di corrispondenza alla realtà». Una dinamica provocata anche «dalla necessità continua di attirare l’attenzione: spesso il pubblico cambia canale se alla cronaca dei fatti non si affianca la drammaturgia della narrazione».
Considerazione fatta propria dal cardinale Scola, secondo cui «le parole sono troppe quando non sono vere. Le sentiamo come eccessive se non arrivano alla realtà profonda e diventano involventi, talvolta fuorvianti». L’ha sottolineato anche Papa Francesco, ha ricordato Scola, incontrando i giornalisti di Tv2000 a metà dicembre. «Disse che il primo compito della stampa è risvegliare le parole. E per risvegliarle, – ha aggiunto il cardinale – l’unica strada è renderle rivelative della realtà: la comunichino e non pretendano di crearla». Un’esigenza, ha aggiunto, cui è chiamata anche l’Europa: «Il nostro mondo geopoliticamente molto complesso, ora esposto a una possibilità di tragedia non più così lontana, e l’Europa smarrita, devono trovare un nesso forte tra parola e realtà. Devono chiamare le cose per nome, semplificare e non usare gli stessi termini per realtà radicalmente diverse».
Una necessità di semplificazione che l’arcivescovo rende ricordando Michelangelo Buonarroti, il quale sosteneva di limitarsi a togliere, dal blocco di marmo grezzo, ciò che era necessario per svelare la figura desiderata. Come Beppe Fenoglio, ha aggiunto il direttore Mario Calabresi, «che scriveva e poi alleggeriva, ripuliva, perdeva tempo a trovare l’esatta parola che corrispondesse alla realtà da raccontare». Una dinamica oggi poco frequente, secondo Calabresi, «nella ricerca di indignazione, di suscitare maggiori emozioni. Con l’obiettivo di aumentare ascolti e vendite». Eppure modelli di maggior corrispondenza tra racconto e realtà funzionano, spiega il direttore: «Buzzfeed, un sito che registra centinaia di migliaia di visite, ha rilevato che gli articoli con titolo eccessivamente ad effetto non vengono condivisi dai lettori. Questi ultimi condividono più frequentemente notizie con titoli didascalici i cui testi mantengono la promessa annunciata. E la condivisione, oggi, è il vero giudizio di valore del lettore».
I media italiani, ha affermato, «si sono illusi che ingrandire fatti e avvenimenti pagasse. Interpretando sempre il calo delle vendite con la crisi economica o la crescita del digitale. Secondo me – ha aggiunto – un fattore da non sottovalutare è la ricerca di risposte e di punti di riferimento da parte delle persone». Contrapposta alla sollecitazione «degli istinti per sdoganarli», come accade «trasmettendo le immagini degli omicidi dell’Isis: non creano consapevolezza né coscienza, suscitano solo reazioni».
Un campo nel quale entra in gioco «l’etica della responsabilità», ha proseguito Scola. «Le circostanze che determinano i fatti sono spesso oscure e si capiscono solo col tempo. Lo scavo che i media devono compiere – ha suggerito – è assumersi la responsabilità di far emergere il ragionevole. Non scandalizzandosi delle paure o della rabbia, ma impedendo che diventino rancore su cui si innestino le ideologie che nasconde la realtà».
Il pensiero va inevitabilmente alla strage compiuta nella redazione di Charlie Hebdo: «Nulla può giustificare quella carneficina – afferma il l’arcivescovo di Milano. E Non si può contrapporre la libertà di espressione alla libertà religiosa: sono plurali ed esigono di essere realizzate simultaneamente. La chiave è la responsabilità e il punto d’unità è l’io, il soggetto coinvolto». La strage di Parigi, secondo Scola, si inserisce «nella situazione di endemica fatica in cui versa l’Europa e nella insostituibilità del nostro continente per un mondo di progresso, pace, autenticità». A partire, aggiunge, dalla domanda “chi vuol essere il cittadino europeo del terzo millennio?”. I recenti fatti hanno «suonato una sveglia, l’etica della responsabilità può diventare un richiamo alla costruzione di libertà realizzate, non solo proclamate. Che investano la totalità dei fattori in campo consentendo all’Europa, superata la fase del secolarismo, un umanesimo nuovo dal volto plurale, di pluriformità nell’unità. Affinché il nostro continente riprenda a svolgere la funzione che storicamente gli compete: accogliere e fare spazio alle culture».
Per una libertà di parola, ha aggiunto Calabresi, che non sia la possibilità di esprimere qualunque affermazione. Ma piuttosto l’esigenza di sostenere contenuti che abbiano valore. Anche nei media, dove spesso le necessarie rapidità e copertura pregiudicano la qualità. «Quando chiedo all’inviato Domenico Quirico di scrivere un pezzo rapidamente – ha raccontato il direttore de La stampa -, lui mi risponde che si rifiuta di intervistare il tassista che lo accompagna dall’aereo all’hotel. E ha ragione, perché ogni cosa assume valore se le si dà il tempo giusto. Non esistono le inchieste fatte in mezzo pomeriggio».
Se da un lato ci sono gli eccessi, dall’altro si trova chi ha poco spazio sui media. È l’appello di Rodolfo Masto, padrone di casa del convegno che si è tenuto presto l’istituto dei ciechi di Milano di cui Masto è commissario straordinario. «Oggi – ha ricordato – è la giornata del Braille. Voglio ricordare in quest’occasione i 150 studenti di Milano e provincia con difficoltà alla vista che da quest’anno, a causa dei tagli, non avranno più sostegno scolastico». Per poi consegnare al cardinale Scola «il premio in memoria del giornalista Pierluigi Golino, per aver mantenuto qui l’incontro, diventando alfiere dei sogni e delle aspirazioni di chi vede con gli occhi del cuore». La mattinata si è conclusa con un “aperitivo al buio”, iniziativa inserita nella mostra “Dialogo nel buio” che ha registrato negli anni a Milano oltre un milione di visitatori.