L’uomo che piantava gli alberi è il titolo di un piccolo libro di Jean Giono, scrittore francese di origine italiana. Racconta un incontro di Jono con un pastore, Elzéard Bouffier, che ogni pomeriggio sceglie 100 ghiande e ogni mattina va a seminarle accuratamente in un terreno montano privo di vegetazione. La scelta delle ghiande è meticolosa, solo quelle perfettamente sane verranno seminate.
Dopo diversi anni dal primo incontro Giono, attraversata la guerra 1915-1918, torna dal pastore e scrive: «…scorsi in lontananza una specie di nebbia grigia che ricopriva le cime come un tappeto. Diecimila querce occupano davvero un grande spazio. Ero letteralmente ammutolito e, poiché lui non parlava, passammo l’intera giornata a passeggiare in silenzio per la sua foresta».
Forse possiamo vedere in ogni ghianda sana una notizia buona. Il sogno di un pastore ha qualche contatto con quello di un giornalista che considera il raccontare l’oggi come un servizio al futuro, alle generazioni che verranno. Per raccontare giornalisticamente il creato occorre mettersi sulla sua lunghezza d’onda, fare spazio alle sue voci e ai suoi volti, avendo cura di coltivare un silenzio interiore per approfondire, capire, raccontare. Lo stesso silenzio che Benedetto XVI ha messo a tema, accanto alla parola, nel Messaggio per la Giornata delle comunicazioni sociali 2012. Per la parola è ancora il creato a offrire una risposta.
In un racconto ebraico si legge che nella scuola di un villaggio c’era un bambino un po’ particolare: ogni volta che il rabbino diceva «E Dio disse…», usciva sulla strada e incominciava a danzare sollevando la polvere. Il rabbino chiede il perché di quella che egli considera una stranezza. «Ma perché – è la risposta del piccolo – ogni volta che tu dici “E Dio disse…”, io vedo il cielo, gli alberi, i fiumi, gli animali, anche mio padre, e mi viene voglia di gridare e danzare…». Il bambino aveva superato il rabbino nel riconoscere le parole e la Parola, nello scoprire tra loro un’alleanza. Aveva detto che il creato è in se stesso comunicazione. Una lezione che anche oggi vale per i nuovi e gli antichi media.
Raccontare il creato giornalisticamente significa soprattutto far nascere domande sul significato del vivere e del morire e indicare sentieri per cercare e incontrare le risposte in una coscienza libera e alimentata dal dialogo tra fede e ragione. E quando, grazie anche al racconto mediatico del creato si avvia una ricerca interiore, è da prevedere che dalle risposte si arrivi, con stupore, alla Risposta.
Anche nel digitale le ghiande del pastore francese e la danza del bimbo ebreo possono diventare immagini che invitano a guardare e a custodire il creato con gli occhi e con il cuore del Creatore. Seminare notizie come ghiande feconde e danzare nella polvere della cronaca e della storia: si può pensare così una comunicazione al servizio della verità e della speranza.