Non perdono il vizio: le agenzie di rating (di valutazione economica) del settore pubblico, delle società e degli “strumenti finanziari strutturati” (buoni del tesoro, azioni, sistemi bancari…) continuano a giocare un ruolo di protagoniste non solo nella valutazione, nella “certificazione” e – anche – nell’essere “intermediarie dell’informazione”, ma altresì nella politica internazionale, che tendono a influenzare con i loro interventi “a orologeria”. Avevano appena smesso di fare la loro campagna presidenziale negli USA, minacciando il downgrading (il declassamento) a causa della politica economica e soprattutto sociale di Obama, e ora minacciano il nuovo governo francese del socialista Hollande. In Italia, all’inizio di dicembre 2011, all’indomani della conferenza stampa del nuovo premier Mario Monti che presentava le riforme del suo governo, le agenzie uscirono con allarmanti prospettive (credit watch) negative sull’affidabilità del credito del Paese; poco più di un mese dopo, il 13 gennaio 2012, comunicando la loro “condanna” del credito dell’Italia a BBB+ (quasi “spazzatura”) nella tarda serata del venerdì, provocarono un “week-end nero” (con un crollo del mercato a mercati chiusi, e quindi impotenti): tutte queste valutazioni si sono rivelate sbagliate e certamente controproducenti .
Su questo ha indagato per un anno la Procura della Repubblica di Trani, su esposti di Federconsumatori e Adusbef: qualche giorno fa la Procura ha chiesto il rinvio a giudizio per alcuni dirigenti di Standard & Poor’s e di Fitch (per quelli di Moody’s non sono riusciti a raccogliere “elementi univoci” per formulare l’accusa), con l’accusa di “manipolazione del mercato” (art. 185 del d.lgs 24 febbraio 1998, n. 58, secondo le modifiche del 2009, sulla intermediazione finanziaria). Ha scritto la Procura di Trani che le agenzie hanno “manipolato” il mercato, diffondendo «un’informazione tendenziosa e distorta sull’affidabilità creditizia dell’Italia», causando – contro l’immagine del Paese, contro il valore dei titoli di stato, contro lo stesso euro – gravi danni.
Vedremo come andrà a finire, se cioè il GUP darà credito (appunto…) alla ricostruzione della Procura.
Per altro già alla fine del luglio 2011 la Commissione finanze della Camera aveva approvato all’unanimità una risoluzione durissima, in cui si diceva (già allora) che le agenzie di rating fanno “aggiotaggio”, “destabilizzano” il mercato dei titoli di Stato, sono viziate «da conflitti di interesse tra l’attività di valutazione svolta e la prestazione di servizi di consulenza nei confronti dei soggetti che emettono gli strumenti finanziari oggetto della loro valutazione»; per di più «la diffusione, effettuata a mercati aperti di un comunicato di Standard & Poor’s sulla manovra correttiva adottata dal governo italiano, prima ancora del testo definitivo della manovra stessa» può essere qualificato fra i «comportamenti sostanzialmente riconducibili ad ipotesi di aggiotaggio», con «gravi ripercussioni sull’andamento della quotazioni in Borsa». La commissione esortava il governo a farsi carico della questione sia in Italia, sia in sede UE.
C’è da chiedersi perché quella risoluzione è rimasta (più o meno) lettera morta. Tanto più che in sede comunitaria anche il Parlamento europeo (risoluzione A7-0081/2011) aveva preso posizione secca: l’8 giugno 2011 – denunciando mancanza di concorrenza; strutture monopolistiche; mancanza di trasparenza; distorsione della concorrenza, causata dalla «prassi comune di agenzie di rating del credito che valutano i partecipanti al mercato e contemporaneamente ottengono ordini da loro»; conflitto di interessi, e altri vizi del sistema – il Parlamento europeo aveva chiesto il rispetto dei «più elevati standard in materia di integrità, comunicazione, trasparenza e gestione dei conflitti di interessi», richiamando precise norme comunitarie già esistenti (come il regolamento CE/1060/2009), e aveva insistito per la creazione di un’Agenzia europea di rating del credito realmente indipendente, al fine di evitare distorsioni, opacità, conflitti e indebite influenze specie nella valutazione del debito sovrano, e nelle valutazioni della performance di un Paese. Si leggeva, al n. 39 della risoluzione, che il Parlamento europeo «ritiene che, date le conseguenze che i rating del debito sovrano possono avere sul mercato, la trasparenza sui metodi e i motivi delle decisioni nonché le responsabilità delle agenzie di rating in questo settore debbano essere potenziate». Sono le parole stesse, ora, della Procura di Trani.
E dunque il problema era ben chiaro, fin da allora. Ma – a quanto pare – neppure in sede comunitaria s’è fatto molto. E le agenzie continuano, sembra a man salva, a intervenire sui mercati.
Non sarà che dove non han potuto (o voluto) le governance nazionali e comunitarie possano i magistrati di Trani?