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Sirio 18 - 24 novembre 2024
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Molestie

“Stalking”, una legge
che colma una lacuna

Ma lascia perplessi il grande margine di discrezionalità che resta alla parte lesa

dell’avvocato Davide STECCANELLA Unione Giuristi Cattolici Italiani

19 Novembre 2012

Il Decreto Legge 23 febbraio 2009 numero 11 ha introdotto all’articolo 612 bis del Codice Penale il reato di “atti persecutori” meglio noto come il delitto di stalking dal termine inglese to stalk che riferito al cacciatore significa più o meno mirare ovvero braccare la preda, reato correttamente collocato nella sezione del codice penale dedicata ai delitti contro la libertà morale ed immediatamente dopo i reati di “violenza privata” (articolo 610) e di “minaccia” (612).

Si tratta di tipico reato residuale di evento a condotta libera purchè reiterata (valgono sia le minacce che le semplici molestie), nel senso che per la sua consumazione occorre dimostrarel’effetto che sulla vittima la condotta dell’agente ha procurato e che può essere di tre tipi tra di loro alternativi e cioè: 1) o un cagionato «perdurante e grave stato di ansia o di paura», 2) o un ingenerato «fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva», oppure ancora 3) una costretta «alterazione delle proprie abitudini di vita».

Sono previste ai successivi commi anche delle speciali aggravanti “soggettive” e graduate della pena base (da sei mesi a quattro anni di reclusione) qualora il fatto venga commesso «dal coniuge separato o divorziato» ovvero da «persona legata da relazione affettiva alla persona offesa» ovvero «ai danni di minore o di persona disabile o di donna in stato di gravidanza», nonché in ultimo una ulteriore aggravante “oggettiva” qualora il fatto «sia commesso con armi o da persona travisata».

È prevista la procedibilità a querela (ma i termini di decadenza sono raddoppiati, e passano da 3 a 6 mesi), fatta salva ovviamente la procedibilità di ufficio qualora la vittima sia soggetto minore o disabile oppure quando «il delitto risulti connesso con altro procedibile di ufficio».

Assai significativa, e spesse volte risolutiva, appare poi la speciale procedura alternativa preveduta all’articolo 8 del citato Decreto e che consiste nella facoltà, per la parte lesa, di ricorrere al questore per richiedere il formale ammonimento del “persecutore”, atto che fa scattare la immediata procedibilità di ufficio in caso di successiva recidivazione con conseguente aggravamento della pena.

I dati relativi alla applicazione nell’anno in corso di tale nuova fattispecie mostrano un notevole ricorso da parte delle locali Procure alla contestazione di questo reato soprattutto in vicende attinenti ex coniugi in lite, anche se, trattandosi di norma di recente introduzione, la “tempistica” della penale giustizia italica non è ancora in grado di fornirci i dati delle conseguenti condanne.

Dal punto di vista dell’osservatore va dato atto del fatto che la norma in esame abbia effettivamente colmato una lacuna del nostro codice penale soprattutto perché le pre-vigenti disposizioni in materia mostravano una certa debolezza sia dal punto di vista afflittivo che preventivo, nonché del fatto che si tratti di norma tutto sommato scritta abbastanza bene cosa nei tempi più recenti in materia penale non così… usuale.

L’unico aspetto che lascia un tantino perplessi è il grande margine di discrezionalità che viene lasciato in primis alla parte lesa ed in secundis al Giudicante giacchè un delitto di evento richiederebbe quantomeno una descrizione più oggettiva appunto di tale evento, perché affidare il tutto alla personale e soggettiva percezione della parte lesa potrebbe risultare in materia penale un tantino rischioso, e persino confliggente con il principio costituzionale di certezza.

Lo “stato di ansia e di timore” in presenza di certi comportamenti oggettivamente molesti ma altrettanto oggettivamente non violenti infatti potrebbe variare alquanto tra soggetto e soggetto, e pertanto la punibilità di un fatto potrebbe finire con il dipendere esclusivamente od in gran parte dal grado di sopportazione o di noncuranza di una vittima rispetto ad un’altra.

Né va sottovalutata la possibilità che uno dei due coniugi in giudiziale contesa post-separazione (chi si occupa di diritto di famiglia sa che si tratta di soggetti spesse volte connotati da rara quanto ossessiva rissosità) possa anche “strumentalmente” inserire la vicenda penale a mò di grimaldello per ottenere una maggiore “morbidezza” dalla controparte in sede civile ed anche per questo, oltre che per tutte le osservazioni sopra scritte, è necessario che il Giudice, soprattutto se la querela interviene in corso della classica “guerra dei Roses” tra due coniugi in lite, valuti sempre attentamente e caso per caso se sia stato effettivamente integrato il delitto in oggetto, oppure no.