Costituiscono beni culturali, secondo il Codice dei beni culturali e del paesaggio, [1] le cose mobili e immobili, appartenenti ad enti pubblici e a persone giuridiche private senza fine di lucro, che presentino, tra l’altro, interesse artistico e storico; ivi incluse le raccolte espositive, gli archivi e, salvo determinate eccezioni, le raccolte librarie; nonché le cose mobili e immobili in cui sia espressamente riconosciuta la sussistenza di un interesse culturale, anche se appartenenti a privati, senza alcun limite.
Condizione perché una cosa sia tutelata dal diritto d’autore [2] è invece che si tratti di un’opera di carattere creativo; che in essa si ritrovi cioè un minimo di individualità rappresentativa tale da distinguerla da quelle che l’hanno preceduta.
La relazione fra beni culturali e diritto d’autore è fissata nel codice, che fa esplicitamente salva la disciplina del diritto d’autore, così sancendo un doppio binario non sovrapponibile [3] fra la tutela delle opere dell’ingegno e quella dei beni culturali.
Tale nozione di non sovrapponibilità era abbastanza rigida nella concezione tradizionale. In seguito il regime è parzialmente cambiato e i principi si sono in parte sovrapposti.
Si deve infatti segnalare al riguardo una evoluzione legislativa che prende le mosse dalla legge sui beni culturali del 1939, [4] che escludeva dalla tutela del bene culturale le “opere di autori viventi o la cui esecuzione non risalga ad oltre cinquanta anni".
In tale periodo la durata di protezione del diritto d’autore era di cinquanta anni p.m.a., [5] ma si applicava a tutte le opere dell’autore, in qualsiasi momento create, e quindi anche nel caso in cui la loro esecuzione risalisse oltre i cinquanta anni. Quindi il rigore del doppio binario già allora non era rigoroso.
In seguito, quando in Italia nel 1996 il termine di protezione del diritto d’autore è stato portato a 70 p.m.a., [6] l’Autorità legislativa chiamata a riformare la legge sui beni culturali non ha tenuto conto della elevazione del detto termine, lasciando così inalterato nel nuovo testo normativo il limite per i beni culturali di cinquanta anni, [7] sempre decorrenti dalla esecuzione.
La medesima disposizione è rimasta nella successiva iniziale stesura del codice, salvo che, ancora successivamente, [8] il codice è stato modificato [9] si dà escludere dalla nozione di bene culturale le opere di autore vivente o la cui esecuzione non risalga ad oltre cinquanta, ma limitatamente alle cose mobili, mentre per le cose immobili tale termine è stato elevato a settanta anni
Vi possono quindi essere opere d’arte non costituenti beni culturali, in quanto create da autore vivente o la cui esecuzione non risalga ad oltre cinquanta o settanta anni, secondo i casi. Ma può essere anche il contrario, per le opere la cui esecuzione risalga ad oltre cinquanta o settanta anni, ma che risultino ancora protette dal diritto d’autore in base alla durata di settant’anni p.m.a..
Ciò potrà comportare che le dette opere formino oggetto di proprietà esclusiva dell’autore o dei suoi aventi causa, ma che nel contempo abbiano a subire le limitazioni alla circolazione previste nel codice.
Si pensi, ad esempio, ad un’opera d’arte costituita da un quadro, realizzato nel 1960 da un pittore scomparso nel 2010. Il decorso del termine di 50 anni dalla esecuzione lo farebbe ricadere sotto il regime del codice, ma esso sarebbe protetto dal diritto d’autore fino a tutto l’anno 2080. Si tratterebbe quindi di un bene soggetto ai diritti esclusivi e autoriali ma altresì ai vincoli alla circolazione del bene posti dal codice (verifica dell’interesse culturale, vigilanza pubblica, limitazione di interventi, limitazioni nella circolazione e prelazione).
La sovrapposizione dei principi, a cui abbiamo prima accennato, ha quindi comportato un affievolimento del diritto di proprietà esclusiva, proprio del diritto d’autore, a favore dell’interesse collettivo.
Secondo la concezione tradizionale dianzi ricordata si potrebbe ritenere che la tutela del bene culturale, in quanto tale, riguardi un interesse collettivo e che invece il diritto d’autore risponda a un interesse individuale; e che la congiunzione di tali due interessi, contrapposti fra loro, si abbia con la caduta in pubblico dominio dell’opera, dopo di che la fruizione dell’opera stessa passa alla collettività. Le due discipline, distinte temporalmente, potrebbero rappresentare quindi, nel loro complesso, l’equilibrato bilanciamento di interessi diversi, altrimenti destinati a confliggere.
Tuttavia, dal sistema delle regole vigenti che abbiamo prima ricordato, si potrebbe invece desumere che, rispetto alla concezione iniziale che abbiamo chiamato del doppio binario, che vedeva una distinzione abbastanza chiara, se non rigorosa, fra sistema di diritto d’autore, volto per definizione a tutelare il diritto di proprietà individuale, e la disciplina dei beni culturali, volta a stabilire una serie di vincoli alla circolazione di beni non più protetti nell’interesse culturale collettivo, tale sistema bipolare si sia venuto smussando e i vincoli a tutela del bene culturale si siano venuti estendendo anche alle opere dell’ingegno ancora protette, con la conseguenza di limitare l’esercizio del diritto di proprietà, dal carattere assoluto e assolutamente discrezionale che esso aveva un tempo, al rispetto dell’interesse culturale collettivo.
Si può quindi concludere che il tradizionale bilanciamento fra diritti individuali e interesse collettivo, in rapporto alla tutela di diritto d’autore dell’opera d’arte, sia oggi in fase di evoluzione o di involuzione, a seconda dei punti di vista, con la riviviscenza di una conflittualità in precedenza composta.
In questa visione, si può inquadrare la disposizione dello scorso mese di agosto [10] che equipara alle utilizzazioni effettuate nella cerchia ordinaria della famiglia, in quanto private, quelle effettuate, senza scopo di lucro, all’interno delle biblioteche, a fini esclusivi di promozione culturale e di valorizzazione delle opere stesse.
È manifesta, per chi scrive, la forzatura della nuova disposizione, che stabilisce una esenzione totale dalla necessità di previo consenso e dal compenso per fini di “promozione culturale e di valorizzazione delle opere”, senza contare la palese disparità di trattamento rispetto alla disposizione sulla riproduzione delle opere esistenti nelle biblioteche. [11]
In tale cornice, è forse irrealistico paventare che, con la disposizione in commento, un prossimo evento musicale di una star di grido, con utilizzo di musiche e di registrazione oggetto di diritto d’autore e di diritti connessi protetti, abbia a trasferirsi dalla piazza cittadina a una biblioteca per sfuggire al pagamento dei dovuti corrispettivi?
E quindi da auspicare che in sede di conversione tale previsione venga opportunamente emendata.
5.- Conclusivamente è da auspicare il ritorno al bilanciamento dei contrapposti interessi, individuali e collettivi, nella consapevolezza che solo il giusto riconoscimento dei diritti individuali, esclusivi e quindi remunerativi dell’attività svolta, può favorire la creatività; la quale, una volta giustamente soddisfatto l’autore, ma solo dopo ciò, potrà alimentare ed arricchire l’interesse collettivo, lasciando esente il diritto individuale da intrusioni di malinteso interesse pubblico.
[2] L. 22.4.1941 n. 633 e disposizioni successive (l.d.a.).
[3] L’ art. 107, primo comma, del codice fa esplicitamente salva la disciplina del diritto d’autore, così sancendo un doppio binario non sovrapponibile fra la tutela privatistica e individualistica delle opere dell’ingegno e la tutela dei beni culturali (Cfr. MUSSO, Del diritto di autore sulle opere dell’ingegno letterarie e artistiche, Zanichelli-Soc.Ed.del Foro Italiano, Bologna-Roma 2000, p. 111, nota 6).
[4] L. n. 1089/1939.
[5] Art. 25 l.d.a. nella sua versione originaria.
[6] Art. 25 l.d.a. vigente.
[7] D. Lgs. 490/1999.
[8] D.L. 13.5.2011 n. 70.
[9] Art. 10.5 codice vigente.
[10] Art. 4 Dl. 8.8.2013 n. 91.
[11] Art. 68 l.d.a..