«Voi pensate: i tempi sono cattivi, i tempi sono pesanti, i tempi sono difficili. Vivete bene e muterete i tempi». L’esortazione di Ambrogio riaffiora alla memoria riflettendo sul Discorso dell’Arcivescovo di Milano alla sua città. Con il suo stile evocativo, a tratti poetico e nello stesso tempo diretto, monsignor Delpini ha conferito alle sue parole la forma di un appello prima a riconoscere la situazione e poi a reagire tutti insieme davanti all’emergenza spirituale che rende le persone più inclini alla rinuncia che alla speranza, e a smarrire quel senso dell’insieme, senza il quale la società e l’identità personale finiscono per frantumarsi. L’appello è accorato e meditato: la Chiesa ambrosiana lo rivolge anzitutto a se stessa, avvertendo anche l’esigenza di condividerlo con l’intera comunità umana.
Il modello, l’esempio, di resilienza e riscossa è il profeta Geremia che, rinchiuso nell’atrio di una prigione, con il suo popolo sotto l’assedio dell’esercito del Re di Babilonia, reagisce ai “tempi cattivi” accogliendo la parola di Dio, che gli chiede, proprio mentre Gerusalemme sta per cadere, di acquistare un campo come gesto di riscatto, di investimento sul futuro, cioè di speranza.
Per ragioni più profonde della pura omonimia, la parola campo richiama il mondo universitario, e quindi le responsabilità degli atenei, a iniziare da quelli nati, come la Cattolica, dal cuore della Chiesa. L’università stessa è un campus, un luogo dove si pratica la “coltura dell’umano”, dove il rapporto educativo è messo a dimora soprattutto nella dimensione intergenerazionale. Come ama ripetere papa Francesco, citando la frase di Gioele che ritiene essere la profezia dei nostri tempi: «I vostri anziani faranno sogni, i vostri giovani avranno visioni», a sottolineare che l’incontro tra le generazioni può generare speranza.
Giunta al suo centesimo anno accademico e dinanzi a difficoltà impreviste, l’Università Cattolica ha avvertito per intero la responsabilità di rimanere al proprio posto, compiendo il massimo sforzo per garantire tale incontro e dare continuità e compimento al regolare svolgimento di tutti i suoi corsi, e anche per consentire ai giovani trovatisi in improvvisa sofferenza economica di proseguire gli studi. Così come avverte l’esigenza di vivere questo tempo, dolorosamente segnato dall’assenza forzata degli studenti dalle aule e dai luoghi dell’Ateneo, come opportunità per avvicinarsi di più al linguaggio dei giovani e cercare di capire – in un dialogo a distanza, ma mai interrotto – quale sia la loro percezione di quanto sta accadendo. Il distanziamento sociale ha reso più evidente che la missione educativa si esercita anzitutto con l’esempio di adulti capaci di sperare e di dare ragione della loro speranza; di adulti realmente interessati, come chiede il Pastore della Chiesa ambrosiana, a consegnare alle nuove generazioni la visione da cui può partire il futuro, cioè una visione della realtà non solo ben informata, ma portatrice di una ipotesi positiva sul senso dell’esistenza.
Sarebbe però un grave errore di presunzione pensare di poter agire da soli, assecondando una sorta di individualismo istituzionale. La transizione epocale in cui siamo immersi richiede alleanze educative che, pur nella diversità dei soggetti alleati, non prescindano dal fine primario di formare persone mature, in grado di riconoscere e stimare la vera conoscenza, cogliere l’importanza di superare la frammentazione sociale, costruire relazioni che conducano a un’umanità meno violenta e più fraterna. Ed è proprio questa la vocazione squisitamente politica, ambrosiana e concreta dell’università contemporanea.