Il nostro Arcivescovo, con questo Discorso, conferma la prospettiva su cui ci ha spesso incoraggiato durante quest’anno così particolare per la pandemia ancora in corso. Di fronte all’incertezza e al disorientamento che dalla sfiducia rischia di portarci alla paralisi, ci esorta a sognare un mondo diverso e a sognare insieme se si vuole veramente cambiare le cose. Non solo insieme alle persone e alle istituzioni con alleanze possibili nel presente, ma con uno sguardo alle prossime generazioni, creando connessioni, relazioni e legami non solo nel presente, ma anche col futuro.
Ormai abbiamo imparato come ogni situazione, anche la più complicata, è l’occasione perché la promessa di Dio della vera felicità per tutti diventi realtà. È sempre possibile cambiare le cose. Dipende anche da noi: tocca a noi, appunto. Ma non da soli. Tutti insieme. Non possiamo qui non ricordare papa Francesco. Fin dall’inizio del suo pontificato (2013), il Pontefice ci ha richiamato che nessuno si salva da solo: «Questa salvezza, che Dio realizza e che la Chiesa gioiosamente annuncia, è per tutti, e Dio ha dato origine a una via per unirsi a ciascuno degli esseri umani di tutti i tempi. Ha scelto di convocarli come popolo e non come esseri isolati. Nessuno si salva da solo, cioè né come individuo isolato né con le sue proprie forze» (Evangelii Gaudium n. 113).
L’Arcivescovo ci invita a impegnarci insieme per creare le condizioni per una vita degna, che passa dal riconoscimento del diritto ad avere per tutti, e non solo per alcuni, casa, lavoro, istruzione e salute. Facendo il possibile e partendo dalle condizioni date: nessuno è perfetto, ma ciascuno va bene così com’è, per darsi da fare per migliorare e cambiare le cose e contribuire all’impresa comune.
E questo non vale solo per i bravi, i solidali, ma anche per i poveri, quelli che si sentono fragili o abbandonati. Anche quelli che se la sono cercata o hanno fatto scelte autolesioniste. Anche loro possono e devono concorrere all’impresa comune di cambiare la propria inaccettabile condizione di miseria, ingiustizia, sfruttamento, esclusione. E insieme costruire una comunità diversa da quella che hanno rifiutato o che li aveva esclusi come scarti e invisibili ai diritti e ai doveri di cittadini degni. I poveri ci richiamano alla realtà e a ricostruire la trama di relazioni fraterne che dovrebbero essere il segno distintivo di una comunità e in particolare quella cristiana. Perché è da questi legami solidali con tutti, nessuno escluso, che scaturisce la possibilità di evangelizzare per la comunità.
«Tocca a noi», creando alleanze che – come richiama l’Enciclica Fratelli Tutti – si appoggiano sul riconoscimento della dignità della persona umana, fondamento della fraternità e dell’amicizia sociale. Non c’è modo di essere con, di stare accanto, né di cercare relazioni e imparare il dialogo, né di avere a cuore il bene di tutti attraverso la politica, se non perché si crede nella dignità umana come valore fondante dell’essere umano. Alleanze che abbiano il coraggio anche di denunciare i vari tradimenti della fraternità per cogliere «la sfida di sognare e pensare a un’altra umanità. È possibile desiderare un pianeta che assicuri terra, casa e lavoro a tutti» (FT n. 127). Ne va della nostra umanità e del nostro futuro. Ciò che è bene per me deve essere bene anche per l’altro, un altro che è qui oggi, e anche un altro che verrà domani.
«Tocca a noi», dunque. La responsabilità di cambiare le cose è nostra e non possiamo delegarla a nessuno. L’Arcivescovo elogia chi sta al suo posto e tutti i giorni garantisce l’impegno ordinario in particolare in questo momento, in cui la sapienza deve farci cogliere il senso delle cose essenziali. Non può essere un’attesa passiva o rassegnata, ma attiva e con fiducia nell’altro, anche di chi si sente inadeguato. Non c’è persona che non vada bene. Se escludiamo il povero, il «Tocca a noi» non ce la può fare. Dobbiamo credere che anche il povero fa parte di questo «Tutti insieme».