«Tante lodevoli opere fece, che fu un miracolo». Basterebbe forse questa entusiastica affermazione del Vasari per comprendere la statura artistica di Filippo Lippi, frate fiorentino dalla vita a dir poco avventurosa, pittore eccellente in quella Toscana rinascimentale già percorsa dalla rivoluzione di Masaccio. Chi, tuttavia, e giustamente, volesse verificare con i propri occhi della bontà di un simile giudizio, non ha che da recarsi al Museo Diocesano di Milano (corso di Porto Ticinese, 95), nelle cui sale, dal prossimo 16 novembre, sarà esposta una delle opere più belle del Lippi, una Natività che è un autentico idillio, dove tutto è silenzio e preghiera, contemplazione e verità.
Quest’opera, scelta per l’ottava edizione della fortunata manifestazione Un capolavoro per Milano, proviene da Prato, città in cui fra’ Filippo soggiornò a lungo realizzando una serie di lavori che gli storici dell’arte oggi valutano come «l’impresa più importante e più ricca di futuro» del Quattrocento artistico italiano. Si tratta di una tavola di circa un metro e mezzo per lato, originariamente conservata presso il locale convento dei domenicani, che raffigura Maria e Giuseppe in adorazione del Bambino Gesù nel contesto della “Notte Santa”, con sullo sfondo la capanna con il bue e l’asino, dei giovani pastori che suonano corni e zampogne e, nell’alto dei cieli, un coro di angeliche voci. Ai lati, due santi. A sinistra il martire Giorgio, le mani giunte come la Vergine, il volto pallido e delicato, quasi femmineo, che contrasta con la brunita armatura da soldato antico. A destra Vincenzo Ferrer nell’abito dell’ordine domenicano a cui apparteneva, anch’egli in contemplazione di Gesù ma, sorprendentemente, non del Divino Infante adagiato davanti a lui quanto del Cristo Giudice che appare, minuscolo, sopra la sua testa, “protagonista” primo delle sue prediche appassionate.
Proprio la presenza del Ferrer può aiutare nella datazione di questo dipinto. Poichè infatti il santo di Valencia, fautore della riunificazione della Chiesa durante lo scisma avignonese, venne canonizzato nel 1455, è plausibile pensare che la tavola sia stata commissionata dai domenicani a Filippo Lippi nei mesi immediatamente successivi quell’evento. Un’ipotesi confermata anche dal fatto che quest’opera sembra essere stata eseguita in due momenti diversi, con l’aggiunta in un secondo tempo proprio delle due figure laterali.
Orfano di madre fin dalla nascita, perduto il padre che non aveva che pochi anni, Filippo fu allevato da una zia finchè ne ebbe la possibilità, e quindi affidato ancora ragazzo alle cure dei carmelitani di Firenze. Non fu certo un allievo esemplare, ma i frati suoi maestri s’accorsero ben presto della sua straordinaria predisposizione per il disegno, e lo favorirono su questa strada. Un talento che, secondo quanto riportato dallo stesso Vasari, gli salvò perfino la vita: lasciato il convento, infatti, mentre si trovava nella Marca d’Ancona, fu rapito e reso schiavo da pirati saraceni, ma ottenne la libertà in cambio di una magnifico ritratto che fece del suo padrone.
Anche Lippi, peraltro, ha voluto dare il suo contributo al connubio fra genio e sregolatezza… Implicato in vari processi, proprio mentre si trovava a Prato il frate si invaghì di una ragazza destinata alla clausura, «la quale aveva bellissima aria et grazia», per dirla ancora con il Vasari. Da quella relazione nacque Filippino, destinato anch’egli a seguire l’eccellenza del padre in campo artistico. E tradizione vuole che nel viso del Bambinello il pittore abbia ritratto suo figlio appena nato, mentre quello di Maria richiamerebbe le dolci fattezze della giovane madre. Un “miracolo” di grazia e leggiadria, appunto, come mai prima si era visto, come poi saprà fare soltanto il Lippi junior. E Botticelli, non a caso allievo dello stesso fra’ Filippo.
Dal 16 novembre 2010 al 30 gennaio 2011.
Museo Diocesano (Milano, corso di Porta Ticinese 95)
Da martedì a domenica, 10-18
Bglietti: 8 euro (martedì 4 euro)
Info, tel. 02.89420019 – www.museodiocesano.it «Tante lodevoli opere fece, che fu un miracolo». Basterebbe forse questa entusiastica affermazione del Vasari per comprendere la statura artistica di Filippo Lippi, frate fiorentino dalla vita a dir poco avventurosa, pittore eccellente in quella Toscana rinascimentale già percorsa dalla rivoluzione di Masaccio. Chi, tuttavia, e giustamente, volesse verificare con i propri occhi della bontà di un simile giudizio, non ha che da recarsi al Museo Diocesano di Milano (corso di Porto Ticinese, 95), nelle cui sale, dal prossimo 16 novembre, sarà esposta una delle opere più belle del Lippi, una Natività che è un autentico idillio, dove tutto è silenzio e preghiera, contemplazione e verità.Quest’opera, scelta per l’ottava edizione della fortunata manifestazione Un capolavoro per Milano, proviene da Prato, città in cui fra’ Filippo soggiornò a lungo realizzando una serie di lavori che gli storici dell’arte oggi valutano come «l’impresa più importante e più ricca di futuro» del Quattrocento artistico italiano. Si tratta di una tavola di circa un metro e mezzo per lato, originariamente conservata presso il locale convento dei domenicani, che raffigura Maria e Giuseppe in adorazione del Bambino Gesù nel contesto della “Notte Santa”, con sullo sfondo la capanna con il bue e l’asino, dei giovani pastori che suonano corni e zampogne e, nell’alto dei cieli, un coro di angeliche voci. Ai lati, due santi. A sinistra il martire Giorgio, le mani giunte come la Vergine, il volto pallido e delicato, quasi femmineo, che contrasta con la brunita armatura da soldato antico. A destra Vincenzo Ferrer nell’abito dell’ordine domenicano a cui apparteneva, anch’egli in contemplazione di Gesù ma, sorprendentemente, non del Divino Infante adagiato davanti a lui quanto del Cristo Giudice che appare, minuscolo, sopra la sua testa, “protagonista” primo delle sue prediche appassionate.Proprio la presenza del Ferrer può aiutare nella datazione di questo dipinto. Poichè infatti il santo di Valencia, fautore della riunificazione della Chiesa durante lo scisma avignonese, venne canonizzato nel 1455, è plausibile pensare che la tavola sia stata commissionata dai domenicani a Filippo Lippi nei mesi immediatamente successivi quell’evento. Un’ipotesi confermata anche dal fatto che quest’opera sembra essere stata eseguita in due momenti diversi, con l’aggiunta in un secondo tempo proprio delle due figure laterali.Orfano di madre fin dalla nascita, perduto il padre che non aveva che pochi anni, Filippo fu allevato da una zia finchè ne ebbe la possibilità, e quindi affidato ancora ragazzo alle cure dei carmelitani di Firenze. Non fu certo un allievo esemplare, ma i frati suoi maestri s’accorsero ben presto della sua straordinaria predisposizione per il disegno, e lo favorirono su questa strada. Un talento che, secondo quanto riportato dallo stesso Vasari, gli salvò perfino la vita: lasciato il convento, infatti, mentre si trovava nella Marca d’Ancona, fu rapito e reso schiavo da pirati saraceni, ma ottenne la libertà in cambio di una magnifico ritratto che fece del suo padrone.Anche Lippi, peraltro, ha voluto dare il suo contributo al connubio fra genio e sregolatezza… Implicato in vari processi, proprio mentre si trovava a Prato il frate si invaghì di una ragazza destinata alla clausura, «la quale aveva bellissima aria et grazia», per dirla ancora con il Vasari. Da quella relazione nacque Filippino, destinato anch’egli a seguire l’eccellenza del padre in campo artistico. E tradizione vuole che nel viso del Bambinello il pittore abbia ritratto suo figlio appena nato, mentre quello di Maria richiamerebbe le dolci fattezze della giovane madre. Un “miracolo” di grazia e leggiadria, appunto, come mai prima si era visto, come poi saprà fare soltanto il Lippi junior. E Botticelli, non a caso allievo dello stesso fra’ Filippo.Dal 16 novembre 2010 al 30 gennaio 2011.Museo Diocesano (Milano, corso di Porta Ticinese 95)Da martedì a domenica, 10-18Bglietti: 8 euro (martedì 4 euro)Info, tel. 02.89420019 – www.museodiocesano.it