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Anniversario

Barbareschi, il ricordo e un libro a due anni dalla morte

Raccolte in un nuovo volume le meditazioni per la Scuola della Parola (di cui ricorrono i 40 anni) curate dal sacerdote che nella sua lunga e intensa esistenza fu protagonista in campo civile ed ecclesiale. Rinviata la presentazione prevista nella Basilica di San Marco

di Giuseppe GRAMPA

23 Ottobre 2020
Monsignor Giovanni Barbareschi

Ricordiamo don Giovanni Barbareschi a due anni dalla morte. Dobbiamo custodire la memoria perché nella sua lunga vita, 96 anni, è stato prete, combattente per la libertà e grande educatore. Dagli anni della fanciullezza nella famiglia, prima scuola di libertà, attraverso la scelta del sacerdozio e dello scoutismo come scuola di servizio, fino alla decisione di entrare nella Resistenza per dare aiuto a centinaia di ebrei e non solo, sottraendoli alla deportazione in Germania.

In quegli «anni del rischio», secondo l’espressione dell’amico padre David Maria Turoldo, don Giovanni ha subìto ripetute carcerazioni a San Vittore, sottoposto a torture, ha fatto parte dell’Oscar (Opera scautistica cattolica aiuto ricercati), preparando documenti falsi per ebrei e vittime del regime fascista, redattore del foglio clandestino Il Ribelle. Una storia che vede accanto a don Giovanni l’Arcivescovo di Milano, il cardinale Schuster, che lo incarica di portare la sua benedizione alle vittime della rappresaglia fascista in piazzale Loreto. Inutile tentare di riassumere qui una vicenda di libertà, davvero appassionata e che si può leggere nel volume Chiamati a libertà (In dialogo, 240 pagine, 17,10 euro).

Ma la storia di questo «ribelle per amore» non finisce il 25 aprile 1945. Nei lunghi anni successivi don Giovanni è stato educatore appassionato nella Fuci, la Federazione degli universitari cattolici, nello scoutismo, nelle aule del Liceo Manzoni a Milano come insegnante di religione, nella Casa alpina di Motta.

Innumerevoli amici, e tra questi uno davvero unico, che a Milano tutti ricordano: don Carlo Gnocchi. Lo aveva conosciuto il 17 marzo 1943 alla stazione di Udine, quando don Carlo, cappellano degli Alpini, rientrava in Italia dopo la tragica Ritirata di Russia. La partecipazione alla Resistenza e l’impegno comune a mettere in salvo ebrei ha cementato un’amicizia che troverà la sua più alta espressione negli ultimi mesi di vita di don Carlo che, gravemente malato, volle accanto a sè don Giovanni, per «vivere con lui la sua morte». E al vescovo Sergio Pignedoli che si accingeva a compiere l’Unzione del malato, don Carlo disse: «Don Sergio, cumincia di pé, in i pé ca m’an purtà a cà dala Russia».

Ma la vita di don Giovanni doveva conoscere ancora una bella stagione a servizio della Chiesa diocesana, in particolare negli anni dell’episcopato di Carlo Maria Martini, che gli affidò diversi e delicati servizi. Giudice nel Tribunale ecclesiastico lombardo, che si fa carico dell’eventuale nullità di taluni matrimoni. Presidente dell’Istituto diocesano di sostentamento del clero. Ha accompagnato i sacerdoti che si interrogavano sulla loro vocazione e in molti casi lasciavano il ministero: servizio delicatissimo di discernimento e insieme di amicizia. Ha collaborato a due importanti iniziative sempre di Martini: la Cattedra dei non credenti e la Scuola della Parola. E le meditazioni di don Giovanni a questa singolare “scuola” sono ora raccolte in un volume, appunto Alla scuola della parola (Centro ambrosiano, 200 pagine, 18 euro). Più che “meditazioni” si tratta di vere e proprie “provocazioni” di un grande educatore ai giovani, con l’unica preoccupazione di far pensare, suscitare interrogazioni affidate sempre alla coscienza di ognuno, nella libertà. In tutte le pagine ritornano con insistenza i grandi temi, le passioni che lo hanno sostenuto nella sua lunga esistenza: il primato della persona, di ogni persona, anche del nemico, di chi lo aveva torturato e che ha trovato in don Giovanni salvezza dal linciaggio della folla e la possibilità di un giusto processo.

Dire della persona è dire della sua libertà che ha nella coscienza il suo sacrario. Dire della persona è dire della sua relazione all’altro, all’altra. E parlando ai giovani quante volte don Giovanni affronta la meravigliosa realtà dell’amore umano. Il volume si apre con la prefazione del vescovo monsignor Franco Agnesi, vicario generale della Diocesi, che ricorda due anniversari che cadono in queste settimane: la morte di don Giovanni il 4 ottobre 2018 e i 40 anni dalla prima scuola della Parola l’8 novembre 1980. Questo libro vuole essere grata memoria di questi due eventi.

Il cardinale Martini chiamava don Giovanni «patriarca» e un mese prima della sua morte don Giovanni lo incontrò a Gallarate. La conversazione si concluse così: «Mi pare che don Barbareschi, che stimo e apprezzo da tanti anni come patriarca, sia in Diocesi rappresentante della tradizione e questa sia un’occasione felice per rendergli omaggio». E don Giovanni rispose: «Grazie, eminenza. Anch’io sono felice di incontrarla qui. Vorremmo avere una benedizione dal nostro “vero” patriarca. Io patriarca per modo di dire. Ma vero patriarca è lei…».

La serata rinviata

La presentazione del libro con le meditazioni di don Barbareschi, prevista mercoledì 28 ottobre alle 21 nella Basilica di San Marco a Milano, è stata rinviata a data da definire a causa dell'emergenza Covid.