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Sirio 09 - 15 dicembre 2024
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Libri

Non basta essere un genio
per essere un buon papà

Galilei, Rousseau, Manzoni, Tolstoj, Chaplin, Einstein... Grandi uomini, piccoli padri. Come racconta lo psicologo Maurizio Quilici in questa intervista, a partire da suo ultimo libro sulla "difficoltà" di essere genitori.

di Rosangela VEGETTI

9 Marzo 2016

È più facile scoprire le leggi primordiali dell’universo, come fece Einstein cento anni fa (e alcune sue intuizioni sono state recentemente e clamorosamente confermate negli ultimi mesi), o accompagnare nella crescita un figlio o una figlia, svolgendo al meglio il compito di padre? A quanto pare il genio, se applicato alle relazioni, non garantisce quella sapienza del cuore necessaria per capire e amare i propri famigliari, soprattutto, i figli e le figlie.

A una tale considerazione ci guida Maurizio Quilici che da oltre trent’anni studia le questioni relative proprio alla paternità e che con il suo recente Grandi uomini, piccoli padri (Fazi, 6,99 euro), che ci fa riflettere su come taluni grandi personaggi, vissuti in secoli diversi, abbiano lasciato un segno decisivo nelle storia umana per le grandezza delle loro scoperte e per la profondità delle loro intuizioni, ma che poi nelle vita concreta, nei rapporti affettivi più diretti, si siano dimostrati pessimi esempi di comportamento.

Grandi uomini, piccoli padri sono stati Galileo Galilei, che non voleva essere distratto dai suoi studi da responsabilità sentimentali; Jean Jacques Rousseau, capofila della scuola di pedagogia moderna che però ha mandato i suoi cinque figli all’orfanotrofio; il nostro Alessandro Manzoni con dieci figli affetti da gravi difficoltà; lo scrittore russo Lev Tolstoj del tutto assente nella vita famigliare e insofferente dei suoi 13 figli; lo scienziato Albert Einstein, con una figlia illegittima non riconosciuta e altre due avute da una relazione con la cugina, e l’attore Charles Chaplin, meglio noto come Charlot, padre di 11 figli. Da queste biografie l’autore ha tratto sei “medaglioni” che portano il lettore a scoprire la vicenda di ogni personaggio, quasi fosse un breve romanzo, ciascuna inserita nello svolgersi della storia del suo secolo, dal ’600 al ’900. Abbiamo rivolto a Quilici alcune domande.

Di personaggi di tale rilievo c’è ancora da scoprire qualcosa che possa essere di interesse per la vita di oggi?
Da molti anni mi occupo di paternità e mi ha sempre affascinato il genio per la sua “stranezza”, per il suo essere al di fuori della norma, tanto difficile da capire. Così ho messo insieme paternità e genialità in figure che ho sempre amato per i loro libri e le loro esperienze.  Di ciascuno di questi personaggi sapevo qualcosa del loro modo di essere padri, però attraverso epistolari, biografie e autobiografie ho fatto molte scoperte. A partire dalle figure femminili che emergono con grande forza, mogli o compagne di questi personaggi, come la moglie di Einstein o quella di Tolstoi. Donne di grande intelligenza, a volte di grande cultura, inevitabilmente sacrificate al genio del marito o compagno. Questo è un elemento emerso e che non avevo previsto e che mi ha sorpreso. Al contrario è stata invece una conferma per me scoprire come il padre-genio possa schiacciare il figlio che cresce. Alludo a quello che da sempre è il conflitto generazionale padre/figli.

Si può affermare che passano i secoli, ma le problematiche, gli intrecci dei rapporti familiari, si ripresentano sotto vesti un po’ diverse, ma nella sostanza simili?
Si, nella sostanza i problemi di fondo rimangono simili, perché le caratteristiche dell’essere umano quelle sono. Però io da anni parlo e scrivo di “rivoluzione paterna”, perché la trasformazione più profonda che ha avuto la famiglia in questi ultimi decenni riguarda proprio la figura del padre, che oggi ha caratteristiche e collocazioni che non si ritrovano nei secoli che ci hanno preceduto. A partire dalla fisicità, che è una scoperta assolutamente nuova: a livello europeo il 92% dei padri assiste al parto e frequenta corsi pre-parto, è una novità storica. Così se parliamo dell’accudimento, pur con debite eccezioni: quando mai un padre nel passato si occupava in maniera quotidiana e continua di un bambino? Ci si aspettava, nella migliore delle ipotesi, che i figli diventassero un “ometto” o una “donnina”.  Il neonato era un essere del tutto alieno per il padre.

Cosa si potrebbe trarre dalle esperienze passate per aiutare la famiglia di oggi in una società così diversa?
Dovremmo fare una scelta accurata di cose da prendere e di altre da lasciare. Certamente da eliminare sono il distacco, la distanza, l’autorità come potere nel senso duro del termine, che ha caratterizzato per tanti secoli l’atteggiamento dei padri verso i figli. Mentre dovremmo recuperare l’autorevolezza che il padre aveva e che oggi va un po’ perdendo. Oggi trovo giusta e bella l’elasticità dei ruoli, la collaborazione anche domestica tra padre e madre, tra uomo e donna, ma non trovo utile né proficuo il ribaltamento totale o la sovrapposizione di ruoli. Questo porta a due genitori che si comportano in modo molto simile, laddove sarebbe bene che entrambi mantenessero una diversità di ruoli naturale.