Is 63, 19b – 64, 10; Sal 76 (77); Eb 9, 1-12; Gv 6, 24-35
Nessuno invocava il tuo nome, nessuno si risvegliava per stringersi a te; perché tu avevi nascosto da noi il tuo volto, ci avevi messo in balìa della nostra iniquità. Ma, Signore, tu sei nostro padre; noi siamo argilla e tu colui che ci plasma, tutti noi siamo opera delle tue mani. (Is 64,6-7)
Isaia riconosce la situazione desolata del popolo che ha dimenticato il suo legame vitale con il Signore, ritenendo di poter bastare a sé stesso. Al contrario si tratta di una relazione che non si può cancellare, semplicemente perché Dio è padre. Le parole iniziali, allora, non sono la denuncia di una mancanza: rivolgersi al Signore all’inizio del giorno non è l’adempimento di un obbligo, ma la forma più immediata per rispondere a chi dona senza misura, innanzitutto la vita. La fede di ciascuno si costruisce quando si lascia il cuore libero per riconoscere che la propria esistenza, prima di essere frutto dell’impegno personale, è dono ricevuto, fino ad arrivare alla disponibilità piena che fa emergere tramite le proprie scelte l’opera del Signore.
Preghiamo
O Dio, santa è la tua via;
quale dio è grande come il nostro Dio?
Hai riscattato il tuo popolo con il tuo braccio,
i figli di Giacobbe e di Giuseppe.
dal Salmo 76 (77)