«La vostra storia è complessa e in alcuni periodi, dolorosa. Purtroppo lungo i secoli avete conosciuto il sapore amaro della non accoglienza e, talvolta, della persecuzione, come è avvenuto nella II Guerra Mondiale; migliaia di donne, uomini e bambini sono stati barbaramente uccisi nei campi di sterminio. E’ stato – come voi dite – il Porrajmos, il “Grande Divoramento”, un dramma ancora poco conosciuto e di cui si misurano a fatica le proporzioni, ma che le vostre famiglie portano impresso nel cuore». Queste le parole che Benedetto XVI ha pronunciato nella prima udienza in Vaticano riservata alle diverse etnie di rom e zingari lo scorso 11 giugno 2011. Parole che denunciano l’esistenza di una ferita storica e umana ancora aperta.
Tutti conoscono la parola Shoah, nessuno Porrajmos, il divoramento. Lo sterminio degli zingari non ha ancora avuto il giusto riconoscimento nell’Europa che lo ha prodotto. Nel Rapporto conclusivo dell’indagine sulla condizione di rom, sinti e caminanti in Italia, elaborato nel febbraio 2011 dalla commissione straordinaria del Senato per la tutela e la promozione dei diritti umani si dice «Abbiamo il dovere di compiere un atto di riparazione inserendo il genocidio dei Rom tra quelli che vengono ricordati ogni anno il 27 gennaio nel Giorno della Memoria».
Il Porrajmos fu uno sterminio «che al pari – dice il Rapporto – di quello degli ebrei fu condotto con scientificità e meticolosità in tutti i paesi occupati dai nazisti. Alla base vi era la considerazione che i Rom fossero una razza inferiore. Le deportazioni in massa nei campi di concentramento e sterminio iniziarono nel maggio 1940 con un primo rastrellamento di oltre 2800 Rom e proseguirono fino al 1944». Mancano i dati precisi sullo sterminio, ma gli studi più recente avanzano una cifra che oscilla tra le 500 mila ed il milione e mezzo di vittime.
Piero Terracina, ha 16 anni venne deportato in quanto ebreo nel lager di Birkenau, ricorda la presenza degli zingari: « Lo Zigeuner lager (campo AIIE di Birkenau) era a fianco del campo AIID dove ero rinchiuso: Eravamo separati dal filo spinato dove passava la corrente ad alta tensione, quindi non potevamo avere un rapporto diretto. Il campo dove ero rinchiuso era un campo di soli uomini. Nello Zigeuner lager invece vivevano famiglie al completo con tanti bambini alcuni dei quali certamente erano nati in quel luogo. Il campo degli Zingari mi sembrava un oasi felice rispetto a quello dove ero io se non altro per la presenza dei bambini. Il ricordo che ho è quello del loro sterminio nella notte del 2 agosto 1944 quando le SS mandarono tutti a morire nelle camere a gas. Fu un fatto atroce, anche per noi che vivevamo in mezzo alla morte e che sapevamo di non avere speranze di poter uscire vivi. Non avevo nessun contatto coni rom ma penso che non ci fossero contatti tra un campo e l’altro. Anche nel lavoro non ho mai incontrato dei rom».
All’udienza con Benedetto XVI ha portato la sua testimonianza Ceija Stojka donna rom austriaca sopravvissuta allo sterminio. A soli 9 anni con la mamma fu deportata ad Auschwitz e a Berge-Belsen nel gennaio 1945. Un miracolo la sua sopravvivenza sino all’arrivo nel campo delle truppe alleate che liberarono i prigionieri. Il suo desiderio, dice Ceija Stojka, e che «gli zingari siano accolti con maggiore attenzione e con occhi vigili, che siano trattati con maggiore rispetto…Mai più Auschwitz, che non accada più questa cosa orribile, bruttissima, quelle uccisioni..Potrebbe accadere di nuovo! Auschwitz: tutto lì è rimasto com’era; ci sono anche gli uomini, che sono rimasti com’erano. Noi siamo i fiori di questo mondo e siamo calpestati, maltrattati e uccisi».
Ceija Stojka nella sua vita è tornata diverse volte a visitare il campo di detenzione. La notte prima della visita ebbe un sogno. «Io che parlavo con i morti. Erano tutti contenti: «Quanto ti abbiamo aspettato! E’ una fortuna che tu sia venuta! Sei stata in mezzo a noi! E io ho detto loro: «Siete tutti di Bergen-Belsen?» «Sì, ma dobbiamo restare qui per sempre!» Ogni mia visita a Bergen-Belsen somiglia a una festa! I morti svolazzano. Escono, si muovono, io ne avverto la presenza, cantano e il cielo è pieno di uccelli. E’ soltanto il loro corpo che giace lì. Hanno lasciato il proprio corpo perchè la vita è stata tolta loro con la violenza. E noi siamo i loro difensori, li difendiamo attraverso la nostra esistenza».
Sono ancora troppo scarsi i dati raccolti sulla persecuzione dei rom ad opera del regime fascista. Il Rapporto dice che in Italia «Rom e Sinti furono imprigionati nei campi di concentramento di Agnone ( convento di San Berardino ), Berra, Bojano ( capannoni di un tabacchificio dismesso ), Bolzano, Ferramonti, Tossicia, Vinchiaturo, Perdasdefogu e nelle Tremiti. Si trattava di Rom italiani così come appartenenti ad altre nazionalità, in particolare Rom slavi, fuggiti in Italia a seguito delle persecuzioni in patria». Due anni fa il sindaco di Agnone è riuscito a rintracciare due rom deportati da San Berardino. In data 27 gennaio 2005 ha chiesto pubblicamente scusa «La cittadinanza esprime la propria solidarietà a Tomo Bogdan e Milka Goman, ai loro familiari a l popolo rom per le sofferenze subite in conseguenza delle leggi razziali del 1938».
Per rimarginare questa ferita storica e umana si potrebbero compiere dei passi legislativi e culturali. Un primo passo potrebbe essere quello di riconoscere nella legge n. 211 ( 20 luglio 2000) che istituisce il Giorno della Memoria in ricordo dello sterminio del popolo ebraico, anche quello del Porrajamos degli zingari perché la legge non ne fa alcun cenno. Un altro passo è quello di «riaprire il capitolo della legge 482 del 1999 che riconosce le minoranze linguistiche italiane per includervi la minoranza Rom e la sua lingua, il romanès».