È un’euforia generale, quella che pervade la Milano d’inizio Novecento. La città, cresciuta rapidamente e fortemente per attività e popolazione, sente di essere la locomotiva che traina l’economia di un’Italia unita da neppure cinquant’anni (seppur in competizione con Torino, che però appare “sbilanciata” nel solo settore industriale). Mentre aspira a diventare metropoli dal respiro veramente europeo, presentandosi al Paese e al mondo quale laboratorio di convivenza sociale (pur con la ferita ancora aperta delle cannonate di Bava Beccaris) e banco di prova di invenzioni e di consumi tecnologici (dall’illuminazione elettrica al trasporto pubblico).
Certo, la classe dirigente meneghina soffre un po’ del fatto che le decisioni politiche vengano prese a Roma, ma infine è convinta che sia meglio fare affidamento sulla propria, proverbiale laboriosità (e sui danè, naturalmente), ponendosi quale capitale di fatto in ambito di progresso materiale e civile (ovvero “morale”, in una parola…).
Già nel 1901, all’indomani dello strepitoso successo di Parigi, Milano si candida dunque a organizzare la nuova Esposizione internazionale. L’entusiasmo per questa iniziativa cresce con l’avanzare dei lavori del traforo ferroviario del Sempione, impresa titanica che coinvolge migliaia di lavoratori italiani e che vede l’impiego delle più moderne soluzioni ingegneristiche. Al punto che l’intera manifestazione viene posta sotto l’egida di questo evento, facendo coincidere l’inaugurazione dell’Expo con l’apertura del Sempione stesso: ora la “nuova” Italia è direttamente collegata con il cuore dell’Europa, e Milano ne è la sua “vetrina” più luminosa. È il 28 aprile 1906.
Il tema generale dell’Esposizione milanese è quello dei trasporti: argomento quanto mai d’attualità, se si considerano i velocissimi, e per molti aspetti perfino prodigiosi progressi dei mezzi meccanici di locomozione, dalle ferrovie alla nascente aeronautica (i primi voli dei fratelli Wright sono solo di tre anni prima), ma anche in campo automobilistico e marittimo. Così che la rassegna del 1906, in realtà, diventa una grandiosa celebrazione della modernità, attraverso la scienza e la ricerca, nell’esaltazione della produzione industriale e delle innovazioni tecnologiche (come la radio di Marconi, ad esempio): quasi una sorta di vera e propria “fede” laica che annuncia un mondo nuovo e migliore, carico di positivistico ottimismo.
I padiglioni e gli stand occupano una superficie di circa un milione di metri quadrati, su un’area che si estende nel parco dietro al Castello Sforzesco (che ancor oggi porta il nome di “Sempione”) e nell’allora Piazza d’Armi (che negli anni Venti diventerà la sede permanente della Fiera di Milano). Senza riuscire a superare gli incredibili record dell’edizione parigina, l’esposizione di Milano vede comunque la ragguardevole partecipazione di oltre trenta nazioni (potendo così definirsi davvero “universale”), con la presenza di ben 35 mila espositori da tutto il mondo (ma le richieste pervenute sono quasi il doppio).
Si stima che i visitatori, nei sette mesi di apertura, siano stati fra i 7 e i 10 milioni: un numero davvero imponente, se si considera la “limitata” circolazione del pubblico all’epoca. Il biglietto d’ingresso, per di più, non è particolarmente economico: quello “base” costa una lira, l’equivalente cioè di mezza giornata di lavoro di un operaio.
Nella realizzazione dei diversi padiglioni sono coinvolti alcuni degli architetti e dei decoratori italiani più noti in quegli anni, i quali, pur nella varietà delle soluzioni, si orientano soprattutto sullo stile Liberty allora imperante. Anche per questa Esposizione milanese, del resto, secondo la prassi, le strutture sono concepite come provvisorie, così che la maggior parte degli edifici è in realtà realizzata con parti in legno, tela e gesso, tali da essere rimosse al termine dell’Expo. Unica eccezione, la palazzina dell’Acquario, che con tale destinazione rimarrà anche a evento concluso, fino ai nostri giorni.
Numerosissime le attrazioni, gli eventi e gli allestimenti, che a lungo rimangono nella memoria dei milanesi.
Fra questi, ad esempio, la ferrovia sopraelevata a trazione elettrica, capolavoro di ingegneria e novità assoluta per l’epoca, che collega le due aree dell’Esposizione.
O la grande manifestazione aviatoria, con palloni e mongolfiere di ogni tipo. O ancora l’apparizione di posti di ristoro self-service, mai visti prima di allora in Italia, secondo un’idea appena arrivata dall’America. Senza contare il quartiere arabo, con la ricostruzione assai realistica della città vecchia del Cairo, con la presenza di cammelli, scimmie e dromedari.
Purtroppo si segnalano anche drammatici incidenti. La notte del 3 agosto, infatti, un violento incendio devasta l’area dedicata ai padiglioni delle belle arti, così che rimane coinvolto anche il grande stand allestito dalla Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano, con la perdita irreparabile di preziosissimi documenti storici.
Alla chiusura di questa Esposizione universale, l’11 novembre 1906, Milano si sente ancora più pronta ad affrontare le grandi sfide di quel promettente inizio del Ventesimo secolo. Soprattutto perché sapeva di poter contare su una propensione all’integrazione sociale che nessun’altra parte del Paese, in quel momento, poteva vantare.