Una statua della Madonna, quasi priva del volto, senza le mani, che qualcuno amorevolmente ha raccolto da terra per poggiarle sul basamento di una colonna vicina. Ai piedi della Vergine un mazzo di fiori, oramai secchi, tenuti insieme solo da un nastro giallo avvolto attorno a un tulle pieno di polvere. Sono i fiori lasciati da Papa Francesco durante la sua visita a Camerino, il 16 giugno del 2019.
La sofferenza dei camerti.
“Questa statua racconta meglio di ogni altra immagine la sofferenza della nostra gente. È una sofferenza innanzitutto interiore, che non si vede, dell’anima”: nella cattedrale ‘puntellata’ di Camerino, nel cuore della Zona Rossa, l’arcivescovo locale, mons. Francesco Massara, racconta così il dolore ‘della sua gente’ a quattro anni dal sisma del 24 agosto 2016, cui seguirono altre forti scosse due mesi dopo. “Don Francesco”, come lo chiamano affettuosamente i camerti, da poco più di due anni è l’arcivescovo di Camerino-San Severino Marche (dal luglio 2019 anche di Fabriano-Matelica), un tempo sufficiente per comprendere che “la ricostruzione si è lasciata ingabbiare dai lacci della burocrazia, generando sentimenti di sconforto e delusione soprattutto tra le nuove generazioni che si vedono inesorabilmente derubate del loro futuro”. Parole forti pronunciate un anno fa davanti a papa Francesco.
Una città fantasma.
“La città si trova in una situazione spettrale perché la ricostruzione non è mai partita. Fino ad oggi abbiamo visto solo lavori di messa in sicurezza degli edifici danneggiati. Camerino – sottolinea l’arcivescovo mentre si incammina verso la Zona Rossa non prima di aver salutato un gruppo di giovani provenienti dalla provincia di Belluno in visita solidale a Camerino – è completamente vuota, priva dei suoi abitanti che ora vivono nelle Sae, le soluzioni abitative d’emergenza, o in altre località fuori città. La popolazione vuole rientrare nelle proprie case”. Un desiderio condiviso da mons. Massara che vive con altri sei sacerdoti in una ‘casetta’. Tuttavia dichiara che non farà ritorno nel Palazzo vescovile “fin quando non saranno rientrati tutti gli abitanti nelle loro case”. “A impedire la ricostruzione – incalza il presule – è stata la grande burocrazia che, nelle carte, ha fatto impantanare tanti progetti e desideri della comunità e di tutto il territorio”.
“La burocrazia è il freno principale della ricostruzione”.
Mons. Massara non esita a parlare di 4 terremoti: “quello strutturale, che ha abbattuto case, chiese e palazzi; quello dell’anima che ha stracciato le comunità e le persone nei loro affetti, nella loro intimità e dignità; quello delle promesse che abbiamo sentito da tanti fin dalle prime ore e che ad oggi non sono state mantenute” e, da ultimo, “il sisma del Covid-19, che ha avuto un impatto devastante sulla salute e sulla economia già provata di queste terre del Centro Italia”.
“Basti dire che in questo tempo abbiamo visto oltre 20 suicidi, un aumento del 73% di uso di antidepressivi e una crescita del 53% del tasso di mortalità della popolazione anziana che si sta lasciando andare. Quattro terremoti in sequenza che rischiano di far perdere alle persone ogni concreta speranza nel futuro”.
Tempo di cambiamento.
Qualcosa, però, sta cambiando. “Va dato atto a Giovanni Legnini, dal 14 febbraio di quest’anno nuovo Commissario straordinario per la ricostruzione nei territori delle Regioni Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria, di aver dato un impulso notevole al superamento di questa impasse burocratica”. Questo grazie al Decreto Semplificazione, pubblicato il 17 luglio scorso nella Gazzetta Ufficiale, che, come spiegato dallo stesso Legnini, ha recepito quel pacchetto di norme, in cui sono compresi anche i poteri speciali al commissario per le situazioni più complesse, che permetteranno di accelerare ulteriormente la ricostruzione post terremoto. Lo scorso 22 agosto sempre Legnini ha reso noto il Rapporto sullo stato di avanzamento della ricostruzione privata e pubblica nel Centro Italia. L’impegno del Commissario per accelerare la lenta ricostruzione “è quello di aprire almeno 5mila cantieri privati e pubblici per la prossima primavera, con un ritmo crescente nei mesi e negli anni successivi”. Mons. Massara non ha dubbi sulle priorità da dare alla ricostruzione: “innanzitutto le case, le imprese e dunque al lavoro, ed infine alle chiese (distrutte 350 su 500, ndr.) e ai luoghi di culto. Ricostruire le abitazioni, rimettere in piedi e far ripartire le aziende, significa dare possibilità concreta alla popolazione di restare qui. In questo modo anche le chiese non resteranno vuote”.
L’impegno della Chiesa.
Come sempre la Chiesa non farà mancare il suo apporto. “Continueremo a stare vicini alla gente, come fatto fino ad oggi – dice l’arcivescovo mentre con lo sguardo carezza la facciata ingabbiata della chiesa di Santa Maria in Via, la più cara ai fedeli camerti ma anche la più danneggiata -. In questi anni la popolazione si è aggrappata alla fede per andare avanti. I parroci e i sacerdoti sono sempre stati presenti tra le comunità. Anche la Caritas si è fatta carico della gravità della situazione economica e sociale. Questa forma di vicinanza spirituale e materiale ha aiutato molto la popolazione terremotata e la sta aiutando ancora in questo tempo di pandemia. Oggi più che mai abbiamo bisogno di segni concreti di vera rinascita. Le istituzioni devono dare risposte concrete a questa gente che aspetta da troppo tempo”.